Saturday, 9 January 2010

Medio Oriente + Asia meridionale = instabilità. L'equazione (im)possibile di una guerra sempre più a scala mondiale.

Terrorismo, conflitto arabo-israeliano e disordini intestini ai singoli paesi per una lunga striscia di mondo pronta a esplodere.

di Emiliano Biaggio

Da Tel Aviv a Kabul passando attraverso l’Iran: la diplomazia passa di qua, per una rotta di oltre 3.000 chilometri di pericolosa instabilità. Questa la sfida per il 2010 appena iniziato e già fin troppo carico di pochi graditi regali. Per gli interi equilibri geo-politici internazionali, ma soprattutto per chi è impegnato in prima linea nella lotta al terrore. Al Qaeda, Afghanistan, Pakistan e adesso anche lo Yemen: tante le questioni da affrontare, per il mondo e per lui, Barack Obama. Perché dopo un Nobel per la pace inaspettato anche per colui che se lo è visto assegnare, è chiaro che adesso gli occhi siano puntati tutti sul presidente americano. E Barack Obama si riunisce nella Security Room della Casa Bianca con i suoi consiglieri per la sicurezza nazionale, per discutere di terrorismo e fare il punto della situazione sullo scacchiere internazionale, sempre più instabile e ad alta tensione. Sono lontani i giorni della storica riforma del sistema sanitario per il presidente degli Stati Uniti, richiamato bruscamente alla realtà da un Medio Oriente sempre più irto di insidie e una minaccia terroristica che improvvisamente si ripropone prepotentemente. Un fallito attentato contro il volo della Norhtwestern in arrivo a Detroit da parte di un giovane nigeriano apre una pista investigativa che porta alla luce il ruolo centrale dello Yemen come avamposto di Al Qaeda nelle operazioni di terrorismo internazionale. Washington – almeno per il momento - esclude l’eventualità di un intervento nel paese arabo. Nella lotta al terrorismo islamico, lo Yemen «non sarà un secondo fronte militare», assicura il consigliere della Casa Bianca John Brennan. Obama precisa: non sarà un fronte di azione diretta. Il presidente Usa spiega infatti che gli Stati Uniti sono al lavoro per «rafforzare la partnership con il governo yemenita, addestrando ed equipaggiando le sue forze di sicurezza, condividendo le informazioni d'intelligence e lavorando assieme per colpire i terroristi di al Qaeda». Il nobel per la Pace Obama ricorda quindi che gli Stati Uniti sono in guerra contro quella che non esita a definire una «rete di odio e di violenza di grande vigore»: un messaggio lanciato agli alleati, ad Al Qaeda e anche agli elettori. Obama sa quanto il tema sicurezza sia sensibile all’opinione pubblica americana, e non vuole mostrare il fianco ai repubblicani, che già fanno il nome di Petraus – il comandante delle forze americane in Iraq e Afghanistan – per le prossime elezioni del Mid term. Più a breve termine, invece, vanno sciolti tutti i nodi in tema di sicurezza internazionale: c’è da vincere in Afghanistan e nelle zone turbolente del Pakistan, e c’è da tenere sotto controllo il Medio Oriente, dove non ci sono solo i qaedisti yemeniti. Nella regione la situazione precipita infatti in Israele: «il processo di pace è paralizzato», denuncia Abu Mazen, che minaccia di non ricandidarsi per la guida dell’Anp, mentre Tel Aviv autorizza la costruzione di 4 nuovi edifici a Gerusalemme est, uno dei nodi cruciali della questione arabo-israeliana. Altro duro colpo per Obama, che aveva fatto della risoluzione del conflitto israelo-palestinese uno dei suoi imperativi di politica estera. Ma medio Oriente non è solo Israele e territori palestinesi, è anche Iraq, e soprattutto Iran. Nella repubblica islamica una nuova ondata di protesta contro il regime degli ayatollah ha portato a scontri con le forze dell’ordine, che causano 15 morti e suscitano l’indignazione della comunità internazionale. La repubblica islamica risponde con censura dei media e arresti, tra i quali quello del leader riformista Mehdi Karroubi, costretto ai domiciliari. Il presidente del paese, Mahmud Ahmadinejad, bolla le manifestazioni come «una nauseante mascherata promossa da americani e sionisti», quindi attacca: «È uno spettacolo che fa vomitare- dice- ma quelli che l'hanno pianificato e quelli che vi hanno partecipato si sbagliano». Il regime accusa la comunità internazionale di «complotto» e impone manifestazioni pro-governo per mostrare come la leadership goda del consenso della maggioranza degli iraniani. Ma è tutto inutile. «L'Iran è in seria crisi», ammette Mir-Hosein Moussavi, il leader dell’opposizione iraniana. «Arrestare o uccidere Moussavi o Karrubi non calmerà la situazione», aggiunge l’ex primo ministro. Obama lo sa molto bene, ed è ora chiamato a lavorare per riportare alla normalità un’area geografica improvvisamente troppo vasta e pericolosamente fuori controllo e – come se non bastasse – culla dell’atomica pakistana e delle voglie nucleari iraniane. Questa estate è stato presentato un cartone animato con Obama in versione super-eroe: adesso più che mai il presidente degli Stati Uniti vorrebbe davvero esserlo, peccato che non si chiami Clark Kent e che venti di tempesta soffino dal Mediterraneo all’Asia meridionale. (Editoriale della puntata di E' la stampa bellezza del 7 gennaio 2010, in onda su Radio Libera Tutti.)

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