Monday 28 February 2011

Berlusconi esempio di animale da castrare

Il presidente del Consiglio "paga" le sue avventure e il suo stile di vita, finendo al centro di una campagna per la sterilizzazione. Perchè, dice la Peta, «troppo sesso può fare male».

di Emiliano Biaggio

Troppo sesso può fare male...
...anche a cani e gatti.

Ci sono troppi animali randagi, per favore castra o sterilizza il tuo animale da compagnia.

Campagna di castrazione con Silvio Berlusconi come protagonista e principale testimonial. O meglio: il capo di governo italiano usato per promuovere la campagna di sterilizzazione dai difensori degli animali. La Peta (People for the Ethical Treatment of Animals), organizzazione animalista internazionale, fa della vita del premier, già ampiamente raccontata dalla stampa nazionale ed estera, il motivo "ridicolizzante" del nostro paese e la ragione della campagna. Qualche dubbio sul messaggio: si intende dire che bisogna limitare le nascite per evitare di mettere al mondo idioti? Si vuole forse dire che la fica dà alla testa? O si vuole dire semplicemente che Berlusconi è un animale? Se avete pensato anche solo una di queste risposte siete maliziosi e comunisti. Si vuole solo invitare a evitare ai nostri amici animali di poter tornare a casa con pargoli al seguito non graditi...

AS Grifondoro (maggica giallo-rossa)

Maglia rossa e bordi gialli: che vi ricorda? La tenuta della Maggica. E a proposito di magie, va detto che rossa con bordi gialli è anche l'uniforme di gioco della squadra di quidditch del Grifondoro, capitanata da Harry Potter che, come detto, tifa Roma. Qui vediamo una formazione del Grifondoro prima di un incontro ufficiale.

Wednesday 23 February 2011

«In carcere chi pubblica intercettazioni»

Il presidente del Consiglio rilancia la legge bavaglio e critica la Costituzione: nei pensieri pericolosi di Berlusconi i rischi per l'Italia.

di Emiliano Biaggio

Berlusconi detta la linea e prepare l'agenda dei lavori: da qui in avanti si lavorerà per «l`introduzione di nuove norme di garanzia che scoraggino la pratica di fornire ai giornali il risultato delle intercettazioni, così come avviene in tutti i Paesi civili». Questo vuol dire sanzioni dure, «come avviene negli Stati Uniti, dove chi passa le intercettazioni alla stampava in galera, e ci resta per molti anni». Questo, tradotto, vuol dire legge bavaglio, anche se il presidente del Consiglio parla di normativa per tutelare dalle «violazioni della privacy che si verificano in danno di chi non è neppure indagato». Altro "pallino" del primo ministro è poi la riforma della giustizia, perciò avanti con «procedure per invocare la responsabilità civile dei magistrati» e con la riforma elettorale del Csm, «per ridurre quella che oggi è una politicizzazione eccessiva e inaccettabile». Insomma, occorre intervenire per dare all`Italia «una giustizia degna di un Paese moderno», sostiene Berlusconi. Che senza dirlo, lascia intendere che si dovrebbe rivedere la Costituzione e ridisegnare l'assetto dello Stato. «Al governo- lamenta Berlusconi- resta solo il nome e la figura, l'immagine del potere: chi fa il presidente del Consiglio di potere non ne ha alcuno». Per intenderci, «da imprenditore ero guardato con attenzione e rispetto dai politici, da presidente del Consiglio vi assicuro che non ho poteri». Tanto è vero che «quello che il presidente del Consiglio e il governo avevano concepito come un focoso destriero purosangue, quando esce dal Parlamento è, se va bene, un ippopotamo». Ma, continua Berlusconi, «non è nella disponibilità del governo fare i decreti, ci deve essere l'accordo e la firma del capo dello Stato». La linea tracciata da Berlusconi è chiara: più poteri per sè, meno autonomia e libertà per gli altri. Una linea più compatibile a un golpe che a un democrazia.

Tuesday 22 February 2011

La Libia spara con armi italiane, export a +746%

Nel biennio 2008-2009 l'Italia ha autorizzato le proprie ditte all'invio di armamenti per oltre 205 milioni di euro (piu' di un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall'Ue)

fonte: Unimondo.

L'Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma anche il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. Lo ricorda Unimondo, con un articolo del presidente Giorgio Beretta, pubblicato oggi sul sito della Ong (unimondo.org). «Da quando nel 2004 l'Unione europea ha revocato l'embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante», dice Beretta. Secondo Unimondo, infatti, si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 112 milioni di euro del 2009 (+746%). Un incremento esploso «soprattutto nell'ultimo biennio», e, spiega Beretta, «anche a seguito del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, firmato a Bengasi nell'agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi». L'articolo 20 del Trattato prevede infatti "un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari", nonchè lo sviluppo della "collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate". Secondo Unimondo, i rapporti dell'Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari certificano che nel biennio 2008-2009 l'Italia ha autorizzato alle proprie ditte l'invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono piu' di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall'Ue (circa 595 milioni di euro). Dopo l'Italia, tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all'esportazione di armi alla Libia ci sono, Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), Germania (57 milioni), Regno Unito (53 milioni) e Portogallo (21 milioni).
Ma, sottolinea Beretta, «a differenza colleghi europei, Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee». Francia e Germania hanno annunciato l'interruzione della fornitura di armi all'Egitto (Parigi ha bloccato anche materiale esplosivo o lacrimogeno per il controllo dell'ordine pubblico e, il 17 febbraio, ha esteso a Libia e Bahrain lo stop nella vendita di armi) e la Gran Bretagna ha revocato numerose autorizzazioni all'esportazione di armi in Bahrain e Libia.
«Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l'Italia tace», riprende Beretta. Eppure, fa notare, «non sono mancate le sollecitazioni: dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell'area». Inoltre «simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito i cui governi, inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all'opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione».

Monday 21 February 2011

AS Grifondoro (maggica giallo-rossa)

Ecco il lupacchiotto più famoso di Hogwarts: Harry Potter. Lui gioca nella squadra di quidditch del Grifondoro, ma sul calcio non ha dubbi: tifa Roma, come testimoniato dalla foto che lo ritrae con al collo la sciarpa della Maggica. E non a caso Harry Potter è un mago.

Saturday 19 February 2011

Il programma di Berlusconi: cancellare diritti, libertà e democrazia

Legge bavaglio, immunità e magistrati sotto il controllo dell'esecutivo: dopo gli scampati pericoli il presidente del Consiglio riprende il suo regio disegno.

l'e-dittoreale

Cosa succederà appare chiaro: Silvio Berlusconi andrà avanti. Cosa sta per accadere è altrettanto evidente: Silvio Berlusconi vuole mettere il bavaglio alla stampa, circoscrivere il terzo potere dello stato facendo della pubblica accusa un organismo politico al servizio del governo, e rendersi intoccabile, improcedibile, improcessabile. La maggioranza non è in discussione al Senato, si sta ricostituendo alla Camera, dove il cavaliere vede ingrossarsi le fila grazie ai vari transfughi e ai sempre più responsabili. E quindi, scampato il pericolo sfiducia e caduta di Governo, il presidente del Consiglio e il suo entourage legal-politico lavorano ai progetti da sempre voluti e mai dimenticati, ma non ancora ottenuti: la legge bavaglio, che adesso Berlusconi può rispolverare vista l'ormai irrilevante peso di Futuro e libertà, la riforma della giustizia, in senso garantista per le cariche di Governo, e poi il ripristino dell'immunità parlamentare. In altre parole, il potere che si arrocca a difesa di sè stesso riscrivendo le leggi nel bene della propria conservazione, in nome del proprio interesse egoistico e personale e in spregio dell'interesse nazionale. Cosa ha in mente il cavaliere è chiaro: impedire alla stampa di raccontare, scrivere, informare. Rispolverando il ddl intercettazioni nella forma arenata dai finiani che adesso però non hanno più la forza nè la possibilita di imporre veti. E poi, intende impedire inchieste giudiziarie separando le carriere, con giudici - la difesa - indipendenti e magistrati - l'accusa - nominati dal governo e ad esso rispondenti. Con il principio per cui se si è riconosciuti non colpevoli in primo gradi gli altri due gradi di giudizio non si possono tenere. Ancora, il primo ministro e primo inquisito intende evitare i processi e gli scontri sul provvedimento per il processo breve attraverso la reintroduzione dell’immunità parlamentare com’era prevista dalla Costituzione con l’articolo 68. Il tutto da fare in fretta, perchè Berlusconi per sopravvivere e mantenersi sul trono d'Italia deve avere leggi e ordinamenti su misura, costruiti e riscritti a sua immagine ed esigenza. Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, ha il coraggio e la facciatosta di definire il tutto come «una storica riforma liberale in arrivo», Antonio Di Pietro, ex pm e leader dell'Idv ha invece l'onestà che serve per denunciare una «riforma per delinquenti». Fermo restando che il ognuno è innocente fino a prova contraria, Berlusconi potrebbe fare come Andreotti, presentarsi nei tribunali e uscirne da libero cittadino, come fece il senatore a vita. Invece non lo fa. Segno che ha ragione di pietro: stiamo parlando di una «riforma per delinquenti». Che solo un delinquente avrebbe interesse a volere.



(poi editoriale del 25 febbraio 2011 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)

Friday 18 February 2011

Nord Africa e Medio Oriente, instabilità del presente e incertezze per il futuro

Proteste di piazza, popolazioni che insorgono, regimi che cadono: ci si interroga su quanto cambierà il mondo in regioni che vogliono cambiare.


di Emiliano Biaggio - Crisi ed "effetto domino" sul mondo arabo-islamica di nord-africa e Medio Oriente, ridisegnano quadri politici, alleanze, equilibri geopolitici, scenari. Le rivolte scoppiate in Tunisia hanno finito per contagiare un'area di mondo che corre dal Maghreb al golfo Persico, portando alla caduta del regime egiziano e sollevazioni popolari scoppiate anche in Libia, nello Yemen e in Bahrein. Il filo che sembra legare tutti questi disordini, se così si vogliono definire, è la richiesta di modernità: tutti i paesi vivono (o vivevano, nel caso tunisino ed egiziano) infatti da decenni con sistemi politici cristallizzati, fermi, lontani dai modelli occidentali e dalle libertà e dai diritti riconosciuti dalla democrazie del resto del mondo. Tunisia ed Egitto, sulla spinta di sistemi corrotti e voglia di cambiamento, hanno deposto Ben Alì e Mubarak, per decenni leader indiscussi e improvvisamente, nel giro di pochi giorni, re deposti. Difficile capire come si ridisegnerà lo scacchiere internazionale, ma certo tutti guardano col fiato sospeso agli ultimi avvenimenti, per capire come cambia e cosa cambierà. In TUNISIA si cerca ci capire quale sarà il nuovo governo, mentre si cerca di arginare il flusso migratorio di profughi. Quello che preoccupa è l'ascesa degli integralisti: la Tunisia non è mai stato un paese islamico radicale, ma con i vuoti di potere la transizione potrebbe avvenire in senso fortemente coranico. Pochi giorni fa al grido "No ai luoghi di prostituzione in un paese musulmano" gli integralisti hanno protestato davanti al ministero dell'Interno, mentre un gruppo di islamisti ha anche tentato di dare fuoco ad una strada nel centro dove lavorano le prostitute. Si pone poi "la questione algerina": il paese confinante soffre gli scontri con l'islam jihadista, con cellule di Al-Qaeda che adesso potrebbero trasferirsi dall'Algeria alla Tunisia, grazie alla fine del regime e a un movimento islamico tunisino in crescita. In EGITTO bisogna capire fino a quando l'esercito potrà contenere le spinte dei Fratelli musulmani, una delle più importanti organizzazioni islamiche con un approccio di tipo politico all'Islam. Loro sostengono di volere il cambiamento, ma la matrice islamica radicale potrebbe ridisegnare un Egitto non più laico e, soprattutto, antisionista. Più di qualcuno ha colto l'occasione della rivolta per dire che gli alleati naturali dell'Egitto sono i palestinesi e che Israele non potrà mai essere un paese amico. Questo preoccupa l'intera comunità internazionale: considerato che gli Stati Uniti danno 1,3 miliardi di dollari l'anno di aiuti militari, cosa succederebbe se con il più alto potenziale bellico dell'Africa, in pieno Medio Oriente, dovesse diventare improvvisamente una nazione non più filo-occidentale? Le alte sfere dell'esercito dovrebbero scongiurare un simile scenario, non fosse altro che chi ha ruolo di potere solo così potrebbe mantenerli. Ma certo quello egiziano è allo stato un rebus molto delicato. In LIBIA è finita l'era Gheddafi, nonostante il paese dell'area abbia il minor tasso di disoccupazione e il più elevato tenore di vita. Nonostante la repressione nel sangue, la Cirenaica è sotto il controllo dei manifestanti e anche a Tripoli il palazzo del Governo è caduto nella mani degli oppositori. Il rischio adesso è una rinascita in senso islamico del paese, fluttuazioni incontrollate del greggio e corse tutte occidentali ai giacimenti petroliferi (la Tamoil opera in partnership con i Paesi Bassi). Anche qui lo scenario è tutto da definire. Nello YEMEN si cerca di porre fine al regime corrotto di Ali Abdullah Saleh, padre-padrone del paese dal 1978 (all'epoca a capo dello Yemen del Nord, poi dal 1990 alla guida dello Yemen unificato). Ma qui il problema è legato alla guerriglia tra ribelli sciiti (qui una minoranza in un paese a maggioranza sunnita) e terroristi di Al-Qaeda, che nello stato hanno una delle basi più solide di tutto il Medio Oriente. Qui si gioca una partita di strategico interesse: i giacimenti di petrolio e il controllo del porto di Aden, "il passaggio per l'Asia", fanno gola a Stati Uniti e Cina, ed nell'interesse del mondo occidentale avere stabilità nel paese e buoni rapporti diplomatici. Disordini anche in GIORDANIA, da sempre stato chiave in Medio Oriente, filo-occidentale, vicino agli Stati Uniti e in buoni rapporti con Israele. Il re ha arginato le proteste formando un nuovo governo e annunciando riforme, ma incertezze permangono anche qui, dove molti cittadini giordani sono in realtà palestinesi immigrati. Il BAHREIN è un Iraq in piccolo: una stato a maggioranza sciita dove il potere è nelle mani della minoranza sunnita. Sulla scia delle turbolenze nel mondo arabo-islamico, gli sciiti chiedono la fine della monarchia di Hamad bin Isa Al Khalifa - al potere da 32 anni - più diritti, più poteri, più redistribuzione delle ricchezze. L'arcipelago del golfo persico che deve la sua ricchezza per le banche è un alleato chiave degli Usa: qui gli Stati Uniti hanno di stanza il V battaglione della propria flotta navale, qui gli Stati Uniti hanno un regime amico. Ma qui c'è chi sospetta un ruolo dell'Iran, paese sciita e interessato ad aumentare la propria influenza nella regione. Ma scontri si stanno riproponendo anche nella repubblica islamica, segno che il contagio ha affetto anche il regime degli Ayatollah. Che lavorano all'atomica.

Borghezio: «abolire il 25 aprile, non è una data che unisce»

L'eurodeputato leghista: «Una parte del paese non si riconosce in questo giorno, anche repubblichini volevano l'Italia»

di Emiliano Biaggio

«Dal momento un cui ci vogliono imporre il 17 marzo come festa nazionale, allora aboliamo il 25 aprile», perchè «non possiamo tenerci due feste nazionali». «Non ci trovo nulla di male a cancellare questa ricorrenza dal calendario: il 25 aprile non è certo una data unificante, c'è una parte del Paese che non ci si riconosce». A sostenerlo l'europarlamentare della Lega, Mario Borghezio, in una revisione storica dai toni destrorsi neo-fascisti. O solo storici, perchè come spiega lo stesso esponente del Carroccio «come molti storici stanno dimostrando, sono state nascoste molte cose su cosa sia successo nel post-25 aprile». Addirittura, sostiene Borghezio, «si parla addirittura di 100 mila italiani uccisi per il fatto di non essere stati simpatici ai partigiani comunisti e all'ala più dura della resistenza comunista». 17 marzo e 25 aprile, nascita dell'Italia unita e rinascita dell'Italia unita libera e democratica, date e avvenimenti che oggi più che unire e mettere d'accordo dividono e aprono scontri, avviando processi alla storia, agli avvenimenti e alle intenzioni. E alle idee. E Borghezio ha voluto dire la sua a proposito del patriottismo schierandosi con la Repubblica sociale italiana. «Vogliamo dire che chi stava dall'altra parte e non con i comunisti non era patriota?», domanda l'esponente leghista. «Vogliamo dire che non si riconoscevano nel tricolore quelli che sono andati a combattere per una causa evidentemente persa? Basta leggere le lettere dei caduti della Repubblica Sociale, che sono uguali a quelle dei caduti della Resistenza». Borghezio tranquillizza: «Non mi sento affatto un fascista», e poi «questa terminologia è ridicola, un modo per non affrontare i problemi».

Wednesday 16 February 2011

Petrolio, una guerra grande nella grande guerra

Durante il primo conflitto mondiale l'avvio alla corsa per le risorse, con soggetti e in zone di grande attualità.

di Jacopo Gilberto

La prima guerra del petrolio si combatté nel 1916, mentre in europa gli eserciti si massacravano nella prima guerra mondiale. La Gran Bretagna aveva deciso di alimentare le navi della royal navy non più con il carbone ma con la nafta. Per assicurarsi gli approvvigionamenti di nafta per la flotta, tentò di mettere le mani sui giacimenti del golfo persico. Invase l’Iraq di allora, che si chiamava ancora Mesopotamia e dipendeva dall’impero ottomano: una storia tragica ed esaltante, e una vicenda in due tempi. una prima spedizione tentò di arrivare a Baghdad, ma fu una sconfitta sanguinosa e dolentissima. Il corpo militare inglese si ridusse a Kut el-Amara, sulla sponda del Tigri, in un assedio senza speranze: dovettero arrendersi in 13.000, la metà morì dopo una prigionia straziante. Fu organizzata una seconda spedizione: questa volta bene armata, dotata delle migliori tecnologie belliche. bagdad fu conquistata, l’armata arrivò fino alla Siria e alla Palestina, che entrarono nell’orbita di Londra, e i giacimenti iracheni furono ripartiti fra le compagnie petrolifere di allora: la Standard oil di Rockefeller (la So, poi Esso, poi Exxon e infine ExxonMobil), la Shell, l’Anglo-Persian diventata Bp, la Gulf, la Mobil.
Tutto nasce da Winston Churchill: nel 1911 era primo lord dell’ammiragliato, cioè ministro della marina, e come tale approvò il piano di costruzioni della flotta per gli anni successivi. Si trattava della costruzione di una divisione di cinque grandi corazzate di ultimo modello. Il nome della prima nave della serie, la "Dreadnought", divenne per antonomasia il termine di nave da battaglia, ovvero corazzata. (leggi tutto)

Monday 14 February 2011

L'onda rosa scuote il paese - fotogallery -

















L'onda rosa scuote il paese

Centinaia di migliaia di donne per chiedere dignità e rispetto, e manifestare disprezzo per un premier che offende la femminilità.

di Emiliano Biaggio
Vedere così tanta gente, così tante donne per le strade e le piazze italiane a chiedere rispetto e dignità fa davvero un grande effetto. E' la risposta a quanti, in questo paese, credano che tutto sia permesso e che tutti siano comprabili o svendibili. E' la dimostrazione dell'esistenza di umanità e femminilità genuine, sane, contenitori positivi di costruttività. Un risveglio quasi dovuto, per chi continua a essere vista come un mero strumento di piacere e compiacere. Le donne si sono fatte sentire, e come sempre e come solo loro sanno, l'hanno saputo fare con vigore ed efficacia. Non si tratta di dire "tremate, le streghe son tornate" (lo slogan degli anni Settanta), si tratta di dire "le donne ci sono e sono una risorsa per il paese". Ignorarle sarebbe un errore, ma fortunatamente c'è una miope minoranza che continua a far finta di niente. Tutti gli altri dovrebbero prendere spunto dall'esempio offerto dalle tante, tantissime scese in piazza per un momento di presa di coscienza collettiva. Che deve essere più convinto e durare ben più d'un momento. Intanto, un sentito grazie a tutte.

Friday 11 February 2011

Rai, va ora in onda il regime di Berlusconi

Censure alla Dandini, telefonate preventive e irruzioni in diretta. E un tg1 specchio del dissesto televisivo che fa comodo al premier.

l'e-dittoreale

In Italia va in onda l'autoritarismo del potere, con le reti televisive che trasmettono la farsa democratica messa in piedi da Berlusconi. La Rai recita il copione del regime, fatto di videomessaggi, attacchi e proclami. E di censure. Come quella ai danni di "Parla con me", la trasmissione di Serena Dandini, che avrebbe dovuto mandare in onda il finale di "Il caimano" ma che alla fine se l'è visto negare. Per motivi tecnici, spiegano dalla Rai di Mauro Masi, il direttore generale che preventivamente si dissocia da Michele Santoro telefonando in diretta tv "per mettere in riga" il conduttore. MOretti aveva concesso a titolo gratuito la messa in onda degli ultimi sette minuti del film, che parla di Berlusconi, di come si è creato il suo impero, e che termina con la condanna da parte dei giudici, con una molotov lanciata sui giudici. Tema di scottante attualità, visti gli ultimi attacchi del premier alla magistratura e le ultime vicende giudiziarie del premier. Tema scottante, quindi. E allora la Rai, per bocca del vicedirettore Antonio Marano, fa sapere che non si possono mettere in onda più di tre minuti del finale (che ne dure più del doppio) per non creare danni «irreparabili al valore editoriale» alla pellicola di Moretti, che dovrebbe essere in onda integralmente su Raiuno, anche se la rete ammiraglia al momento non ha spazi in palinsesto e ancora non ha una data di messa in onda. Una spiegazione che odora di menzogna, e infatti la Rai si sbugiarda da sola: ieri sera Raidue, contrariamente al palinsesto previsto e annunciato, trasmette "Le vite degli altri", film che racconta il regime comunista della Germania est, la Ddr, e la Stasi, la polizia cui era affidato il controllo dei cittadini. Proprio nel giorno in cui il presidente del Consiglio accusa «la giustizia moraleggiante che viene agitata contro di me», che «è fatta per andare oltre», procedendo con «un’inchiesta farsesca, degna della Germania comunista, scegliendo tempi e modi per creare degli scandali internazionali». Sempre sulla Rai, va in onda la difesa di Berlusconi, affidata all'improvvisato avvocato difensore Giuliano Ferrara: «C`è una dichiarata volontà da parte del gruppo editoriale L`Espresso, del suo editore Carlo De Benedetti, dei professoroni dei Palasharp, di abbattere Berlusconi con mezzi extraparlamentari», grida in sei minuti di intervista senza domande, praticamente un monologo senza contradditorio. «Sono 16 o 17 anni- scandisce Ferrara- che in Italia c`è un partito, un circuito o un circo mediaticogiudiziario: i giornali fanno ciò che i pm non possono fare e igiornalisti diventano magistrati. A loro volta, i magistrati fanno i giornalisti e informano loro su ciò che desiderano informare». Tv di regime? Uso autoritario dei media? Si. Come i vari Ceausescu dal 2001 a al 2010 Berlusconi ha parlato alla nazione dalla tv 10.206 minuti, praticamente una settimana continuativa per 24 ore al giorno. E se sommiamo i tempi di tutti i leader del centro sinistra che si sono alternati negli ultimi 10 anni, superiamo a malapena i 3.500 minuti (3.688, per essere esatti). Se si considerano gli interventi dei Presidenti della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano), arriviamo a 3.414 minuti in Tv. Come si vede, c'è sempre e solo lui. Che nel 2002 promulgò l'editto di Sofia contro Santoro, Luttazzi e Biagi: gli ultimi due sono stati epurati, Santoro è reintegrato ma non ha vita facile. Il 20 maggio 2009 Augusto Minzolini arriva alla guida del tg1, che perde spettatori, sforna servizi di intrattenimento, confeziona interviste compiacenti il premier, mistifica la realtà spacciando Berlusconi per assolto Berlusconi nel caso Mills quando è invece prescritto, e viene alla fine diffidato dall'AgCom per «forte squilibrio» a favore della maggioranza e del governo. Questo è l'autoritarismo del potere, in onda sette giorni su sette, con le reti televisive che trasmettono la farsa democratica messa in piedi da Berlusconi e proiettano dai teleschermi il disegno sultanistico di un sessuomane quasi pedofilo che fa del proprio volere il lecito e il consentito, in barba ai limiti fissati da leggi che si vogliono cambiare a ogni costo e con qualunque mezzo. L'impunità e il divieto di pubblicazione di intercettazioni e atti giudiziari, ad esempio: strumenti per rendere il potere ancora più assoluto.



(poi editoriale del 18 febbraio 2011 di
E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)

Thursday 10 February 2011

Sud Sudan, Bashir accetta la secessione

Nasce la nuova nazione africana.

di Daniele Mastrogiacomo (da LaRepubblica dell'8 febbraio 2010)
Anche il presidente Omar al-Bashir, alla fine, ha accettato il verdetto delle urne e ha ufficialmente riconosciuto lanascitadelSudSudan. Ammettere la secessione della parte meridionale del suo Paese non è stato facile, ma di fronte al 98,83% dei voti che tra il 19 ei l 15 gennaio si sono espressi sfavore della nascita del54esimo Stato africano, il potente padrone del Sudan, ancora colpito da un mandato di cattura della Corte penale internazionale per violazione dei diritti umani e concorso in genocidio, non ha potuto far altro che prendere atto della realtà. In una cerimonia condita da strette di mano e sorrisi con il suo ex nemico e attuale presidente provvisorio delle regionl meridionali, Salva Kiir, Bashir ha promesso rispetto e sostegno per la scelta compiuta dalla maggioranza cristiana e animista del sud del Paese. Si è trattato di un atto formale. I risultati del referendum erano già noti da un paio di giorni. Ma solo ieri, quando tutte le schede sono state scrutinate e controllate, si è proceduto alla proclamazione ufficiale dellanascitadel Sud Sudan. «Una nuova alba nella regione», il commento della Casa Bianca. I problemi veri, quelli legati alla gestione di un potere tutto da costruire e alla definizione dei confini tra nord e sud, oltre alla suddivisione dei proventi dei giacimenti petroliferi, concentrati al 90% nel meridione, devono ancora essere risolti. L`attività del nuovo Stato verrà verificata nei prossimi cin- que mesi, e solo iI 9luglio sarà sancita la sua definitiva nascita.
Esperti e osservatori restano preoccupati. Passate l`euforia e la soddisfazione per un referendum su cui avevano puntato molto gli americani e che l`amminístrazíone Obama considerava come una prova importante per la politica estera statunitense in Africa, si sono riaffacciati gli spettri di una nuova guerra e di nuove mattanze a scapito della popolazione civile. Il presidente provvisorio Salva Kiir ha ribadito tuttavia la volontà di collaborazione. «Nord e Sud», ha detto durante la cerimonia di Karthoum, «devono co struire rapporti forti». Ornar el-Bashir ha ascoltato e ha annuito. Ma in diverse interviste e dichiarazioni ai giornali ha espresso tutto il suo scetticismo: «Hanno voluto la se- parazione, ma se ne penuranno». Sul terreno la situazione resta critica e difficile. Le trattative per definire i c onfini tra ì due Stati e soprattutto lo status giuridico dell`enclave strategica di Abyei, ricca di petrolio, sono ancora in alto mare. Da gennaio ad oggi sono morte decine di persone negli scontri avvenuti nella regione. I soldati di Karthoum che si trovano nel sud non sono disposti a consegnarele armi e rifiutano di tornare al nord. I gruppi ribelli hanno ripreso le loro scorribande, tra raid e saccheggi. Anche il Darfur del nord vive giorni drammatici: migliaia di persone sono state costrette a fuggire dai villaggi e sono tornati ad ammassare i campi profughi allestiti dalle Ong e dall`Onu. Per il Sud Sudan si annuncia un battesimo di fuoco.

Monday 7 February 2011

L'esercizio dell'autorità

(da Avere o essere? di Erich Fromm)

[...] L'autorità quando è razionale si fonda sulla competenza, e aiuta a crescere coloro che a essa si appoggiano. L'autorità quando è invece irrazionale si basa sul potere e serve a sfruttare la persona che a essa è asservita. Gran parte dei membri di una società burocratica, gerarchicamente organizzata qual è appunto la nostra, esercita autorità, con l'eccezione di coloro che appartengono all'infimo livello sociale, e che sono soltanto oggetto di autorità. Nelle società più primitive viene esercitata dalla persona generalmente riconosciuta come competente: su quali doti si basi la competenza, dipende in larga misura dalle circostanze specifiche, ma generalmente nel novero devono rientrare esperienza, saggezza, generosità, abilità, «presenza» e coraggio. Presso molte di queste tribù, non esiste autorità permanente. Quando accade che le qualità su cui si fonda scompaiono o impallidiscono, l'autorità stessa ha fine. Secondo la modalità dell'essere l'autorità non è fondata soltanto sulla competenza dell'individuo per quanto riguarda l'assolvimento di certe funzioni sociali, ma anche, e nella stessa misura, sulla vera essenza di una personalità pervenuta a un alto grado di crescita e integrazione. Persone del genere irradiano autorità e non sono costrette a impartire ordini, a minacciare, a corrompere; si tratta di individui altamente sviluppati i quali dimostrano, con ciò che sono - e non principalmente con ciò che fanno o dicono -, quello che gli uomini possono essere. Il bambino, che ha bisogno di quest'autorità secondo la modalità dell'essere, reagisce a essa con grande entusiasmo, mentre si ribella alle pressioni o all'indifferenza di individui che, con il loro stesso comportamento, dimostrano di non aver compiuto a loro volta lo sforzo che pretendono dal figlio che cresce. In seguito alla formazione di società basate su un ordine gerarchico assai più ampio e complesso di quelle primitive, l'autorità basata sulla competenza cede il passo all'autorità basata sul rango sociale. Con questo, non si vuole dire che l'autorità esistente sia per forza di cose incompetente, ma soltanto che la competenza non costituisce un elemento essenziale dell'autorità. In gran parte delle società vaste e gerarchicamente organizzate si verifica il processo di alienazione dell'autorità, nel senso che la competenza iniziale, effettiva o presunta, viene trasferita all'uniforme o al titolo dell'autorità. Se questa veste la divisa appropriata o si fregia del titolo adeguato, tale segno esteriore di competenza prende il posto della competenza effettiva e delle relative qualità. Il fatto che la gente scambi uniformi e titoli per le effettive qualità della competenza non è qualcosa che accade di per sé. Coloro che possiedono questi simboli di autorità e coloro che ne beneficiano devono attutire il modo di pensare realistico, vale a dire critico, dei loro subordinati, e far sì che credano alla finzione. Chiunque si soffermi a riflettere su quanto s'è detto, si renderà conto delle macchinazioni della propaganda, dei metodi cui si fa ricorso per togliere di mezzo il giudizio critico, di come la mente, mediante il ricorso a cliché, venga addormentata e sottomessa, di come la gente sia resa ottusa perché diventi dipendente e perda la capacità di prestar fede ai propri occhi e alla propria capacità di giudizio. Si è così resi ciechi alla realtà dalla finzione in cui si crede. [...]

Friday 4 February 2011

Menzogne e colpi di mano dietro il federalismo

Un Parlamento calpestato da un governo che riscrive e decide a proprio piacimento ciò che i parlamentari bocciano, per l'ultimo atto scabroso a firma Berlusconi.

l'e-dittoreale

Il presidente del Consiglio e tutti i suoi alleati mettono in scena l'ennesima pantomima politica di questa edizione di governo Berlusconi, con un comportamento che fa gridare allo scandalo l'opposizione e che irride istituzioni, paese e cittadini. La commissione Bicamerale non approva il federalismo: 15 pari tra favorevolie contrari, e per regolamento con una situazione di parità il testo si considera respinto. Prima del voto Bossi aveva avvertito: o il provvedimento passa o è voto. Il testo non passa e al voto anticipato non si va. Piuttosto si anticipa un Consiglio dei ministri da venerdì mattina a giovedì sera, per approvare un decreto che approva disposizioni sulla stessa materia non approvata dall'organismo parlamentare. Detto più semplicemente: il Parlamento boccia un disegno di legge, il Governo non tenendone conto fa del disegno di legge appena bocciato un decreto da approvare. E lo approva. In fretta e furia. Per Bersani, non a torto, «un colpo di mano illegale», per l'Udc un «atto volgare e violento, che apre un ulteriore conflitto istituzionale tra Governo e Parlamento». Perchè appare chiaro, ancora una volta, come per Berlusconi & Co. le Camere rappresentano un freno - per via di iter troppo lunghi - e soprattutto un'insidia - dati i numeri ancora risicati che la maggioranza fatica ad avere a Montecitorio e a San Macuto, la sede della commissioni bicamerali. Questo è il rispetto delle regole di questa maggioranza, questo lo stile personalistico del potere che si permette qualunque cosa. Questo è il rispetto per le istituzioni, questa è l'ennesima, nuova bugia smascherata del presidente del Consiglio. Dopo le sue false verità sul caso Ruby, Berlusconi si tradisce con i fatti. Era il 28 settembre 2010, appena quattro mesi fa, quando il premier in odor di crisi e in bisogno di voti alla Camera dichiarava prima del voto di fiducia sui cinque punti che «non ci può mai essere contrapposizione tra il governo e il Parlamento», Parlamento che Berlusconi diceva di volere «libero e forte». Adesso si scopre che così non è: le sue parole erano ipocriti tentativi di arruffianarsi - perchè compravendite di parlamentari non ce ne sono state - gli onorevoli e convincerli della sua buonafede. Ora sappiamo che il Parlamento che vuole Berlusconi deve essere libero di ratificare le decisioni del plenipotenziario ministro primo e della sua compagine di Governo. E a dimostrazione di ciò, adesso la Lega chiede una ricomposizione della commissione Bicamerale per le riforme per avere i numeri desiderati. Si fa e si disfa a proprio piacimento, fa e disfa a proprio piacimento. Fortunatamente c'è ancora il presidente della Repubblica a circoscrivere l'azione irresponsabile di governo, dichiarando «irricevibile» il decreto della vergogna sul federalismo.



(poi editoriale dell'11 febbraio 2011 di
E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)

Thursday 3 February 2011

Natura, i 40 anni della Convenzione di Ramsar

Nel 1971 firmato il trattato per la consevazione delle zone umide, strumento ecologico di grande importanza. Che l'Italia non celebra.

di Emiliano Biaggio

Compie 40 anni la Convenzione di Ramsar, il trattato internazionale per la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali. Siglato il 2 febbraio 1971 a Ramsar, in Iran, la convenzione oggi vede 160 paesi contraenti, 1.912 siti inseriti nelle liste di protezione, per 186.963.216 ettari di natura sotto tutela. Numeri alla mano quindi, un anniversario felice per celebrare 40 anni di successi, da festeggiare doppiamente: quest'anno, infatti, il "compleanno" coincide con le celebrazioni per la 'Giornata mondiale delle zone umide'. E, va sottolineato, il nome completo della convenzione di Ramsar, è "Convenzione internazionale relativa alle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici".
Le zone umide, infatti, a livello mondiale rappresentano una delle tipologie di habitat più importanti per la conservazione della biodiversità. Si calcola che tra gli uccelli minacciati di estinzione, ad esempio, 146 specie dipendono dalle zone umide, che rappresentano quindi un risorsa per flora e fauna, e per la conservazione di ambiente e territorio. Non a caso obiettivo del trattato, da sempre, è - come recita la stessa convenzione - «la conservazione e un uso consapevole di tutte le zone umide attraverso azioni locali e nazionali e cooperazione internazionale come contributo per il raggiungimento di un sviluppo sostenibile mondiale». Le zone umide, infatti, se conservate e curate, tra le altre cose ricoprono grande valenza nel contenimento del rischio idro-geologico attenuando i fenomeni come le piene dei fiumi. Infatti le paludi adiacenti i corsi d'acqua, ad esempio, raccolgono le acque durante le piene restituendole poi durante i periodi di magra. Il tutto riducendo il rischio di alluvioni. Da quarant'anni la Convenzione di Ramsar lavora per salvaguardare l'ambiente in ogni parte del mondo, concentrandosi su quelli che sono i «tre pilastri» del trattato: designare le aree da inserire nella "Lista delle zone umide di importanza internazionale" (la "Lista Ramsar") e assicurarne l'effettiva gestione sostenibile, fare in modo di far operare i singoli paesi con piani di utilizzo del suolo oculati e con appropriate leggi e politiche ambientali, cooperare a livello internazionale per proteggere sempre meglio, e sempre di più, le zone umide. Festeggiamenti in tutti continenti per lo speciale anniversario, con un'eccezione: l'Italia. Il nostro paese non ha nulla in programma per le zone umide. In fin dei conti siamo o non siamo il paese degli abusi edilizi e dei condoni?

Tuesday 1 February 2011

Sudan, il sud ha deciso: sarà indipendente

Il 99% dei votanti si è espresso per la separazione dal nord musulmano. Khartoum: «Accettiamo l'esito del voto».

di Emiliano Biaggio

Il Sudan del sud ha scelto: si separerà dal nord, per diventare uno stato indipendente e sovrano. Manca solo l'ufficialità, ma i dati preliminari del referendum tenuto nel sud dal 9 al 15 gennaio parlano chiaro: il 99% dei votanti ha detto "indipendenza". Il risultato non è una sorpresa, perchè tutti davano già per scontato l'esito delle consultazioni referendarie. Tanto che il vice presidente sudanese Ali Osman Taha ha fatto subito sapere che il governo di Khartoum ha accettato l'esito dei risultati preliminari del referendum. «Annunciamo di aver accettato l'esito del referendum e sosteniamo i risultati», ha spiegato Taha in conferenza stampa. Da parte della autorità di Khartoum, ha aggiunto, c'è l'intenzione di voler «portare avanti delle relazioni di buon vicinato con il Sud». I presupposti per relazioni non tese ci sono: c'è già stata infatti una divisione delle risorse di greggio presenti nel sottosuolo tra autorità del nord e quelle del sud del paese, ma su diversi giacimenti - piuttosto redditizi - gli accordi non ci sono. Così come non ci sono ancora accordi sulla regione di confine di Abyei. Quel che è certo a luglio nascerà la repubblica del Sud, con capitale Juba e maggioranza cristiana. Restano le incognite per un governo debole e una regione al centro di turbolenze socio-politiche. Lo scacchiere nordafricano continua a cambiare: troppo velocemente per capire in che direzione va.