Thursday 30 June 2011

L'idea del governo: una Croce Rossa spa

Nella manovra finanziaria a firma Tremonti spunta anche la privatizzazione dell'Ente pubblico. Che fa già gridare allo scandalo.

di Emiliano Biaggio

La Croce Rossa privata. E' l'ultima trovata del governo per affossare un altro pezzo di assistenzialismo e sanità. La misura è contenuta nella manovra finanziare di Tremonti, quella che dovrebbe condurre al pareggio di bilancio entro il 2014. Nessuno scherzo: la Croce Rossa italiana - il cui scopo è da sempre l'assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che in tempo di conflitto - verrebbe trasformata da Ente Pubblico ad associazione umanitaria a carattere volontario, con personalità giuridica di diritto privato. Con tutto ciò che questo comporterebbe: cure a pagamento e solo per chi è in grado di potersele permettere. Tutto questo potrebbe essere realtà se Consiglio dei ministri prima e Parlamento poi dovessero dire "sì" all'idea. In quel caso la Croce Rossa sarebbe privata e privatizzata dal primo gennaio 2012. I rischi, oltre a quello della perdita di assistenza sanitaria, sono due: il personale non militare rischia di essere posto in mobilità, e i contratti a termine saranno risolti entro l'anno. Immediata la reazione dell'Usb, l'unione sindacale di base, che denuncia «un progetto il cui unico vero obiettivo è quello di far cassa infischiandosene di malati, disabili e lavoratori». Dal sindacato, dunque, un secco «no a privatizzazioni, dismissioni e licenziamenti». Ma il governo va avanti: dopo l'idea di una Protezione civile spa, ecco quella di una Croce Rossa spa, l'ultimo atto di una voglia matta di distruggere stato e società.

Wednesday 29 June 2011

Afghanistan, pantano da cui non si esce

Il presidente degli Stati Uniti medita il ritiro, contro il parere dell'esercito. Mentre i talebani, per nulla sconfitti, tornano a colpire.

di Emanuele Bonini

Barack Obama annuncia il ritiro dall'Afghanistan, o meglio, l'intenzione di un disimpegno statunitense dal paese, e per tutta risposta ottiene le aspre critiche dei repubblicani e delle alte sfere dell'esercito oltre alla rivitalizzazione dei talebani, che attaccano l'hotel di lusso di Kabul frequentato da occidentali. L'attentato all'hoterl Intercontinental (almeno 18 vittime civili, secondo un primo bollettino medico) mostra tutto il fallimento militare e strategico degli Stati Uniti in Afghanistan: dopo 8 anni di operazioni e presidio del territorio i talebani sono ancora una minaccia, una forza in grado di colpire in qualunque momento e in qualsiasi luogo. Ed è proprio per questo che l'esercito - generale David Petraeus in testa, comandante della operazioni in Afghanistan - chiedono a Obama di restare e contestano al presidente Usa la mappa del ritiro stilata dalla sua amministrazione. L'inquilino della Casa Bianca sa però che questa guerra finora non ha prodotto risultati, se non costi esorbitanti per le casse dello Stato e per i contribuenti, stanchi di finanziare la "campagna di Afghanistan". Inoltre Obama è consapevole che gli americani sono stufi di questa guerra che ormai percepiscono come persa e che tutte queste risorse economiche se dirottate su politiche a sostegno del mercato permetterebbero manovre di più ampio respiro a un'economia ancora in affanno e nella morsa della crisi. Ma l'Afghanistan resta un problema, un vero e proprio pantano dal quale non si sa come e quando se ne verrà fuori. L'amministrazione Obama comunque valuterà il ritiro, nei prossimi 12-18 mesi, dei 30.000 militari extra mandati nel 2009. Anche se alla luce degli ultimi avvenimenti probabilmente si valuterà se lasciarceli.

Thursday 23 June 2011

Bisignani, capo del governo occulto che tesseva l'Italia di Berlusconi

E' il grande manovratore, il maestro della P4 ed esecutore dei desideri del premier. Che adesso trema con tutti i palazzi del potere e i centri di interesse.

di Emiliano Biaggio

Un governo ufficiale e un governo ombra. Un grande capo e un grande manovratore, poteri manifesti e poteri occulti, entrambi molto forti. Talmente forti da decidere nomine, controllare procure, ottenere informazioni vere e crearne di false, pilotare tg e designare i più alti vertici di imprese e di istituti di credito. Benvenuti nella Bisignani spa, vera e propria rete di interessi e pressioni atta a scandire ogni battito politico-economico-finanziario del paese. E’ la famigerata P4, su cui stanno indagando i pm della Procura di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock. Due anni di lavoro, quindicimila carte messe insieme, per portare alla luce un intrigo che tocca ogni parte sensibile del paese. Il tutto, sembrerebbe, architettato secondo un disegno ben chiaro: controllo dei mezzi d’informazione, controllo di politici e imprenditori, ricatti facili e nomine semplici, riforma della giustizia, accesso a informazioni top secret e loro controllo. Per gli inquirenti alla fine Berlusconi era Bisignani e Bisignani era Berlusconi: entrambi uniti al potere e dal progetto, che sa tanto di rinascita democratica P2. Piduista Berlusconi e piduista Berlusconi, accomunati e uniti da tanto: la riforma della giustizia, per cominciare. Emerge che Bisignani avrebbe detto a Paolo Scaroni, ad di Eni, di dire al premier di procedere con la riforma della giustizia. «Gli devi dire di fare l’accordo», ordina addirittura. E poi quell’avversione verso Santoro e Gabanelli, giornalisti liberi in un mondo dell’informazione terreno di conquiste e infiltrazioni. «Gente da licenziare», tanto che arrivano ordini chiari ed espliciti di farli fuori. Ordini che partono da Bisignani destinazione Mauro Masi, direttore generale Rai protagonista di scelte discutibili e discusse ora più che mai chiare. Masi è del resto «il nostro eroe in Rai», ammette Bisignani. Luigi Bisignani, faccendiere già condannato a tre anni e 4 mesi nel processo Enimont e coinvolto nell'inchiesta Why Not, è talmente forte da correggere le interviste del tg1, talmente potente da indurre Alessandro Profumo a lasciare la presidenza di Unicredit, talmente in vista da ricevere lui – e non il ministro degli Esteri Frattini – l’ambasciatore libico. Del resto lo ammette lo stesso Gianni Letta, plenipotenziario di Berlusconi a palazzo Chigi: «Bisignani- riconosce- è amico di tutti, Bisignani è l'uomo più conosciuto che io conosca. Bisignani è uomo di relazioni». Colui che fa e disfa a sua immagine e somiglianza. E proprio perché così conosciuto è impossibile che adesso nessuno sappia. Tremano i palazzi del potere e i centri di interesse, in fibrillazione come neanche dopo lo scandalo della P3, quell’altra organizzazione sotterranea ma pur sempre parallela che mise in luce il sistema corrotto dei grandi appalti pubblici. Sistema da scandalo per il quale Marco Simeon, uomo vicino al segretario della Cei, chiede l’intervento di Bisignani per mettere a tacere certa stampa che approfondisce e scrive.
Nel frattempo, mentre il governo ufficiale lavora nei canali legali, quello ombra agisce per vie traverse: Alfonso Papa, ex magistrato eletto deputato, gira per conto di Bisignani le procure di tutta Italia per dare al capo del governo occulto tutto ciò potesse essere utile per insabbiare, depistare o usare come arma di difesa (leggi ricatto). Adesso per entrambi c’è la richiesta di arresto. Adesso per tutti c’è il rischio che la profezia di Bisignani possa avverarsi: in una della intercettazioni il faccendiere sostiene che «se non gli fanno passare il processo breve, finisce che a Berlusconi danno cinque anni di condanna e l’interdizione dai pubblici uffici, e il gioco è finito per tutti». Viene da augurarselo, anche se in questo momento non da escludere che da qualche parte, in parallelo, una loggia P5 stia già disegnando l’assetto della nuova Italia che potrebbe venire.

Pechino vende a Pyongyang armi per reprimere le manifestazioni popolari

Il regime di Kim Jong-il ha paura delle sparute proteste popolari che iniziano a verificarsi nel Paese e, per difendersi, compra dalla Cina manganelli e armature anti-sommossa. La popolazione, allo stremo, inizia a ribellarsi.

di Joseph Yun Li-sun (AsiaNews)
Gas lacrimogeni, scudi, manganelli e tenute anti-sommossa: ecco cosa la Corea del Nord sta importando in questi giorni dalla Cina. Terrorizzato dalle sparute proteste popolari che iniziano a verificarsi persino nel suo regime – uno dei più controllati e militarizzati del mondo – il “Caro Leader” Kim Jong-il ha chiesto e ottenuto la possibilità di acquistare dalla Cina materiale utile a reprimere nel sangue ogni sommossa. (leggi tutto)

Tuesday 21 June 2011

Il Brasile ci riprova: seggio permanente all'Onu

La presidente Rousseff torna a chiedere la riforma dello statuto per modificare la composizione del consiglio di sicurezza, riaccendendo il dibattito.

di Emiliano Biaggio

Riforme nello statuto delle Nazioni Unite, con «maggiore flessibilità» per quanto riguarda il Consiglio di Sicurezza. Lo ha chiesto il presidente del Brasile, Dilma Rousseff, nel corso di un incontro a Brasilia con il presidente dell'Assemblea generale dell'Onu, Joseph Deiss. Il Brasile da tempo chiede di essere incluso tra i membri permanenti del consiglio di sicurezza dell'Onu, in quanto lo stato del sud America ritiene che ormai l'attuale quintetto di paesi con diritto di veto (Stati Unti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) non rappresenti più il reale ordine mondiale, che vede avanzare sempre più i paesi del così detto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Deiss si è detto d'accordo su una riforma dello statuto e del funzionamento dell'Onu, ma il numero uno dell'Assemblea generale si è però limitato a dire che «c'è la necessità di una maggiore partecipazione dei paesi emergenti». Nessun riferimento esplicito dunque a una riforma del consiglio di sicurezza, tema al centro del confronto e dello scontro internazionale
Anche l'Italia è per una maggiore flessibilità dell'organismo, intesa in senso di maggiore rappresentatività regionale. L'idea è quella di creare nuovi seggi non permanenti che, a rotazione, garantiscano la massima rappresentatività. A questa proposta si contrappone però quella dei Paesi del cosiddetto G4 (Brasile, India, Germania e Giappone), che aspirano a quattro nuovi seggi permanenti. Idea poco gradita ai cinque stati detentori di seggio permanente.

Monday 20 June 2011

Caro gasolio, aggravi da 2 miliardi per agricoltura

La Cia lancia l'allarme: senza interventi si affossa l'unico settore che traina la ripresa del paese.

di Emiliano Biaggio

Il rincaro dei carburanti rischia di colpire seriamente il settore primario, e di ripercuotersi così sull’economia nazionale. L’allarme lo lancia la Cia- Confederazione italiana agricoltori, secondo cui «c’è il rischio che a fine 2011 l’intero mondo agricolo sia costretto a sostenere un ulteriore pesante fardello da oltre 2 miliardi di euro, determinato proprio dai rialzi del petrolio». Già allo stato attuale, avverte l’associazione agricola, «i continui aumenti del carburante hanno avuto effetti devastanti nel settore», innescando «una grave crisi per le imprese agricole». Per questo la Cia, per voce del presidente dell’organizzazione, Giuseppe Politi, chiede «una riforma dell'agricoltura che punti all'incremento della sicurezza alimentare e alla crescita della produttività agricola». Anche perché, sottolinea Politi, «è l’agricoltura a trainare la crescita del Pil italiano nel primo trimestre 2011». I dati Istat, del resto, parlano chiaro: nel primo trimestre 2011 l’aumento del valore aggiunto del settore primario mette a segno un rialzo congiunturale del 2,3% contro lo 0,1% di settore secondario (industria) e terziario (servizi). Si tratta di «un risultato importante che la politica non può più ignorare», scandisce la Cia. Il perché è chiaro: con un paese fermo da un punto di vista di produzione e mercato in due settori su tre, affossare l’unico settore che traina la lenta crescita e attenua la crisi sarebbe un suicidio. Per questo occorre uscire da quella che al momento per la Cia è «l’emergenza più grave», quella del caro gasolio. «Nei primi cinque mesi del 2011 solo il “caro-gasolio” è costato all’agricoltura oltre 15 milioni di euro in più», e «senza immediati e straordinari interventi a sostegno degli agricoltori e soprattutto senza una nuova politica agraria 250 mila aziende possono chiudere i battenti». E l’Italia non può permetterselo.

Sunday 19 June 2011

Bossi: «Berlusconi non è più il leader indiscusso»

Da Pontida arrivano le condizioni della Lega, che "sfiducia" il premier. Nel Pdl monta l'irritazione. Alemanno: «Lega da condannare»

di Emiliano Biaggio

«Caro Berlusconi, la tua premiership è in discussione alle prossime elezioni, se non vengono approvate le nostre richieste, che vedrete elencate nella lista che vi daremo». Da Pontida Umberto Bossi lancia un messaggio inequivocabile al presidente del consiglio e leader di forza Italia, mai come in questo momento sotto pressione e verosimilmente sotto scacco della Lega. Dopo le sconfitte alle amministrative e al referendum, a Berlusconi Bossi presenta il conto, sottoforma di lista di cose da fare. Di fatto Bossi detta l'agenda politica: al capo del governo chiede infatti riduzione dei contingenti impegnati all'estero e dimezzamento, entro 15 mesi, del numero dei parlamentari e il senato federale. Entro 30 giorni, invece, per il Carroccio devono essere approvati altri sei punti: attivazione delle procedure per l'attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle regioni che le abbiano richieste, misure per la riduzione delle bollette energetiche, riforma del patto di stabilità interno per i Comuni e per le Province, taglio dei costi della politica e finanziamento del trasporto pubblico locale. Infine a Berlusconi si chiedono le prime norme per l'abolizione delle ganasce fiscali. E per finire ministeri al nord. Richieste che non piacciono agli alleati della Lega: all'interno del Pdl Gianni Alemanno, invita a «condannare gli atteggiamenti della Lega» e invita a presentare in Parlamento una mozione per «ribadire con forza che i ministeri devono stare a Roma». Il sindaco di Roma chiede a Berlusconi un «chiarimento netto e definitivo», perchè «non si può andare avanti con gli ultimatum della Lega».
La crisi all'interno della maggioranza ormai è sempre più conclamata, con il leader sempre meno leader: Berlusconi tirato e strattonato dalla Lega, criticato all'interno del Pdl, accerchiato da correnti e fazioni, con elementi interni al popolo della liberà che chiedono un cambio di rotta - e chi addirittura un ritorno al passato - e con Bossi pronto a scaricare l'amico ormai non più così caro. «Se staremo con Berlusconi?», scandisce Bossi. «Dipenderà dalle scelte che saranno fatte. Il sostegno della Lega a Berlusconi potrebbe finire con le prossime elezioni politiche». Alemanno, rappresentante di un'anima insofferente del Pdl, non ci sta. «Dobbiamo prendere atto che c'è un vero e proprio ultimatum. E di fronte a questo ultimatum dobbiamo andare al confronto duro, non solo sui ministeri, ma su tutto». Tira aria da resa dei conti, con un Berlusconi mai così in bilico. L'impressione è che possa cadere, si tratta di capire ovviamente quando ma soprattutto per iniziativa di chi. Forse al momento eventuali tranelli potrebbero venire dal Pdl, perchè Bossi sa che «una crisi adesso gioverebbe alla sinistra». Dunque andare avanti. Ma come? E per quanto? Perchè è vero che Bossi punta ad arrivare a fine legislatura e sperare di riconquistare consensi, ma è anche vero che le condizioni poste dalla Lega potrebbero finire col rappresentare l'oggetto di una crisi. Berlusconi tace. Mai come in questo momento ha bisogno di prendere tempo. Che non ha. (fonte foto: lapresse)

Saturday 18 June 2011

Corteo anti-discarica in diretta su radioliberatutti.it

Dalle 16 su radioliberatutti.it diretta del corteo organizzato dal coordinamento "No inceneritore" di Albano contro il progetto di ampliamento della discarica di Roncigliano. Appuntamento quindi con E' la stampa monnezza, speciale a cura della redazione di E' la stampa bellezza sulla questione rifiuti nei castelli romani e nel Lazio. Inviati, collegamenti, interviste dal vivo e interventi da studio per dare voce alla cittadinanza e alle loro problematiche. Tutto in presa diretta fino alla fine della manifestazione, con la possibilità poi di poter riascoltare - prossimamente - la registrazione dello speciale di radioliberatutti.it

Thursday 16 June 2011

Rifiuti, un tesoro da 9,3 miliardi di euro

Althesys: dal 1999 al 2010 benefici equivalenti ad una manovra finanziaria.

di Emiliano Biaggio

I rifiuti non sono un costo, ma una risorsa. Economica e ambientale. Dal 1999 al 2010 la raccolta, il riciclo e il riuso dei materiali di recupero ha infatti portato 9,3 miliardi di euro di benefici all’Italia. Praticamente l'equivalente di una manovra finanziaria. Lo rileva Althesys (la società di consulenza economica e strategica) nel MP2 Annual Report (lo studio annuale sulle materie prime seconde), che racconta L’industria italiana del riciclo tra competizione internazionale e politiche nazionali. L'Italia, sottolinea lo studio, ha nel recupero degli imballaggi in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro «un settore che vanta posizioni di leadership in Europa». Ciò grazie al lavoro di Conai (il consorzio per il recupero degli imballaggi), che solo nel 2010 ha permesso benefici per oltre un miliardi e mezzo di euro. Per il solo anno in questione, infatti, i costi relativi al sistema raccolta-riciclo sono stati pari a 386 milioni di euro e i benefici pari a 1,6 miliardi. Inoltre, il riciclo ha permesso di evitare l'emissione di 63,3 milioni di tonnellate di CO2. Ma i numeri del “tesoro green” del riciclo arrivano dal bilancio costi-benefici tracciato dall’MP2: dal 1999 a oggi i costi complessivi del sistema Conai ammontano a circa 3,3 miliardi di euro, mentre i benefici raggiungono quota 12,6 miliardi, per un saldo netto di circa 9,3 miliardi di euro.
«Come voci di costo- spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys– abbiamo considerato, tra le altre, quelle per il trasporto a selezione e riciclo dei rifiuti da imballaggio e quelli di struttura». Mentre tra le voci di beneficio sono state rilevate «in primis il costo di smaltimento evitato», vale a dire «il costo che la collettività non ha dovuto sostenere per avviare a smaltimento tutti i volumi dei rifiuti intercettati dal Sistema Conai nello scenario storico, pari a 4,4 miliardi». Senza la raccolta differenziata e il riciclo, infatti, tutte le frazioni sarebbero confluite nei rifiuti urbani indifferenziati e come tali avviate a smaltimento, con i relativi oneri. Il beneficio legato a questo aspetto ammonta a 4,5 miliardi. Il rapporto fotografa quindi nel complesso un 2010 di ripresa per l’industria del riciclo, con i mercati delle materie prime seconde (Mps) in forte salita. In particolare, grazie al Sistema Conai nel 2010 è stato riciclato il 64,6% degli imballaggi immessi al consumo (+4,6% rispetto al 2009) e recuperato il 74,9% (+4,4%).

Tuesday 14 June 2011

Il popolo del sì che getta nel caos la maggioranza

Raggiunto il quorum, bocciate le scelte del governo. Che cerca di minimizzare su una crisi sempre più acuta.

l'e-dittoreale

I referendum raggiungono i quorum e i sì mandano un chiaro inequivocabile messaggio: no al nucleare, no all'acqua pubblica, no al legittimo impedimento. Tra le fila dell'opposizione il Pd esulta e chiede le dimissioni di Berlusconi, nella maggioranza si cerca di minimizzare. A metà strada si colloca l'Idv, che lavora per l'alternativa adesso che ci troviamo che «siamo al crepuscolo del berlusconismo», per dirla con parole di Raffaele Lombardo, presidente di quella Sicilia dove il Pdl ha registrato una sconfitta contemporanea e parallela a quella patita in sede referendaria. Il presidente del consiglio ci ride su e scherza - in modo improprio - su sè stesso e sul suo momento, regalando al premier israeliano una battuta sul bunga bunga. Paolo Romani, ministro per lo Sviluppo economico e per questo responsabile anche di energia, erede del progetto nuclearista del suo predecessore Scajola, non scherza invece quando afferma che «il risultato conferma la linea che il governo aveva già fatto propria». Confusione: come altro spiegare l'intervento del ministro, che non ricorda come l'esecutivo di cui fa parte abbia in realtà proposto una moratoria - e quindi uno stop temporaneo - e non la cancellazione del programma nucleare? Evidentemente Romani risente di quel clima difficile della maggioranza, con la Lega degli Zaia che prima votano sì ai referendum e dei Bossi e Calderoli che poi pensano o minacciano elezioni anticipate. In questo stato confusionale che permea la maggioranza, tra malumori dei responsabili e timori di non tenuta di leghisti e berlusconiani, chi sa leggere forse in modo più chiaro ma miope la realtà è Daniela Santanchè: «Hanno vinto Di Pietro e Vendola» e «Bersani è l'unico sconfitto», afferma. E a ragione. Perchè sono stati Verdi, Idv e Sel a credere nel referendum, mentre il Pd lo ha guardato con scetticismo per poi prendersi indebitamente meriti impropri. Così come improprio è sostenere, come fa Santanchè, che col referendum «non succede niente», perchè i sì sono di «una maggioranza politica non omogenea». Nella maggioranza politica omogenea invece, quella al governo per intenderci, la confusione è tale che deve essere Di Pietro a ricordare che «acqua, nucleare e legalità sono temi che riguardano tutti e non hanno colore politico». E il punto è qui: il berlusconismo era arrivato a teorizzare che il voto popolare che aveva dato mandato a questa maggioranza fosse il lasciapassare per qualcunque nefandezza tanto da dimenticare che il popolo è sovrano, e il popolo sovrano si è espresso. Berlusconi che fino a ieri continuava a reclamare e ad invocare più poteri, oggi se ne ritrova ancora meno. E il berlusconismo, o almeno questo berlusconismo, è ormai al tramonto. Ora si attendono le mosse della Lega, che il 19 giugno a Pontida dovrà dare risposte e chiarimenti alla propria base, mentre sul fronte giustizia si muovono i magistrati che il 18 luglio riprenderanno i processi Ruby e Mills. Verrebbe da dire che Berlusconi ha i giorni contati, ma in realtà Berlusconi conterà i giorni che lo separano da altri pronunciamenti nei suoi confronti, sapendo che finora sono stati tutti nefasti.




(poi editoriale del 17 giugno per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it)

Saturday 11 June 2011

Emiliano Biaggio su radio meridiano 12

Emiliano Biaggio su Radio Meridiano 12. Lunedì alle 18:15 sulle frequenze della radio di Roma e provincia ospite in studio per parlare di libri, scrittura e presentare per la prima volta "Due saggi su Chaplin", uno degli scritti firmati Biaggio. Per tutti l'appuntamento è dunque per lunedì 13 giugno, dalle 18.15 sui 97.5 FM di Radio Meridiano 12.

Thursday 9 June 2011

Su politica e corruzione

Condiderazioni in agrodolce sulle disfunzioni dello Stato.




Un ladro può fare il ministro? Questa la fatidica domanda che ci si pone, non solo nei film. E seppure la risposta potrebbe sembrare scontata, questo video mostra che così non è. E che la realtà supera di gran lunga l'immaginazione. Estratto da un film senza troppe pretese di venti anni fa, il video sorprende per l'amara attualità e per come ben si specchia con la realtà politica di casa nostra. E non solo, per la verità. (da Banana Joe, di Steno, 1982)

Wednesday 8 June 2011

Il Papa miope che non sa stare al passo coi tempi

Espressione di una Chiesa mai innovativa, Benedetto XVI si scaglia contro le coppie di fatto: «non sono famiglie».

l'e-dittoreale
Le coppie di fatto non sono una famiglia. O meglio: non rappresentano la famiglia vera. Benedetto XVI condanna la convivenza tra uomo e donna non uniti dal matrimonio, riproponendo quel solito dibattito sul nucleo familiare. A Zagabria, in occasione della Giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate, il pontefice riafferma «il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli». Papa Ratzinger lancia quindi un appello al mondo cattolico: «Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come sostitutiva del matrimonio». Benedetto XVI esorta quindi a dimostrare che «è possibile amare, come Cristo, senza riserve». Verrebbe da obiettare che Cristo amava il prossimo senza distinzione alcuna, mentre la Chiesa di Roma - che dice di diffondere il verbo cristiano riscrivendolo però a proprio piacimento - ama non solo con distinzione ma anche, è il caso di dirlo, con discriminazione. Quello della famiglia, almeno in Italia, è un caso noto: La Repubblica - recita l'articolo 29 della nostra Costituzione - riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Da un punto di vista legislativo e giuridico si opera quindi una distinzione che contrasta col principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della stessa Carta, dando vita nella migliore delle interpretazioni a famiglie di seria A e di Serie B, nella peggiore al non riconoscimento e alla non tutela a nuclei famigliari a tutti gli effetti. Ma questo è un problema italiano legato alla radici cristiane che ahinoi molto spesso ci penalizzano. Qualcuno spieghi al cattolicesimo e al papa che l'amore senza riserve, così come il vero amore cristiano, è quello senza confini e senza atti burocratici, quello che cioè che va oltre il matrimonio e che non ha bisogno nè di riti nè di certificati. Si può amare anche senza anello al dito, si ama e si vive anche senza il sacro vincolo del matrimonio. ma questo il Vaticano non sa riconoscerlo, così come non sa vedere - arroccato com'è su sè stesso, sui propri sfarzi e sulle proprie manovre politiche - che la società ormai è talmente cambiata che forse la Chiesa dovrebbe adeguarsi ai tempi. A detta di Benedetto XVI «nella società odierna va diffondendosi una secolarizzazione che porta all’emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia», e come Chiesa «siamo chiamati a contrastare tale mentalità», perchè, sostiene il capo della Chiesa, «si riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita». Affermazioni frutto di opinioni personali e slegate dalla realtà. Il matrimonio, si dovrebbe spiegare a Ratzinger, non è una garanzia, come dimostra il numero sempre più elevato di separazioni e divorzi. Quanto alle pulsioni, bisognerebbe sempre spiegare a Ratzinger che tra un uomo e una donna queste sono quasi sempre un atto d'amore. Tra un prete adulto e un minore invece tali pulsioni cosa sono, invece? Non vogliamo qui fare polemiche, ma resta un'ultima considerazione: la famiglia cristiana per eccellenza, vede uniti in matrimonio un uomo e una donna tra cui intercorre una notevole differenza d'età, con un figlio non frutto della loro unione nè del loro amore. La Chiesa spiega il tutto con la volontà divina, per non dover ammettere che forse la sacra famiglia è stata - semmai sia davvero esistita - la prima grande famiglia di larghe vedute del nostro tempo, capace di andare oltre i canoni e di insegnare che l'amore non ha nè età nè confini. Ma non ditelo alla Chiesa: potreste essere scomunicati o inquisiti.



(poi editoriale del 10 giugno per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it)

Monday 6 June 2011

L'estrema destra in Europa

Governi di destra e centrodestra praticamente in tutta Europa, che si accompagnano una generale scomparsa della sinistra e la nascita di movimenti e partiti di destra estrema. Razzismo, nazionalismo, xenofobia: questi i tratti distintivi di un clima sempre più incandescente e comune a tutti i paesi del continente, chiamati a rispondere a un'emergenza - quella degli estremismi - e a vincere un sfida - la tenuta democratica. Ecco una panoramica, paese per paese, delle forze in campo (da Linkiesta.it)


Portogallo, vince la destra

Conservatori e socialdemocratici insieme per il nuovo governo. Socrates lascia il partito socialista.

di Emiliano Biaggio

Vittoria della destra in Portogallo, dove il Psd (partito socialdemocratico, solo nella repubblica lusitana di destra) di Pedro Passos Coelho si afferma alla politiche con il 39% dei voti. Il partito socialista - alla guida del governo uscente - si ferma al 28% dei consensi, affermandosi come secondo partito del paese. Ai conservatori del Cds-Pp (il Centro Democratico Sociale -Partito Popolare) va l'11,7% delle preferenze, permettendo una coalizione di destra e la formazione - a breve - di un nuovo esecutivo. Insieme Psd e Cds-Pp mettono infatti insieme 129 seggi in Parlamento su un totale di 230 (105 per i socialdemocratici e 24 dei popolari). Solo 73 deputati - ben 21 in meno rispetto alle ultime politiche - per il partito socialista di Jose Socrates, dimessosi anche da guida del partito dopo la batosta subita. La sconfitta era prevedibile: il governo uscente paga la crisi economica e il crack finanziario che hanno colpito il paese, che conta due milioni di persone sotto la soglia della povertà. Coelho, al termine dello scrutinio e a vittoria conseguita, ha promesso che lavorerà per onorare gli aiuti economici ricevuti dal Portogallo e recuperare la fiducia dei mercati. E soprattutto tra i portoghesi, mai così lontani dai partiti e dalle istituzioni: l'astensionismo ha toccato quota 40%, giocando un ruolo fondamentale nell'esito elettorale. Intanto, la destra avanza sempre più in Europa.

Wednesday 1 June 2011

«Franco? Non fu un dittatore»

La Spagna rilegge il suo generale, in un'opera pagata coi soldi pubblici che riapre ferite mai chiuse e scatena polemiche.

(da ilGiornale)

Francisco Franco? Un signore «intelligente e moderato», inoltre «coraggioso e cattolico» che guidò un regime «autoritario ma non totalitario», insomma non un dittatore: chi invece dirigeva un «governo praticamente dittatoriale» era il primo ministro delle Repubblica spagnola, il socialista Negrin, rovesciato in un bagno di sangue nella Guerra Civile dallo stesso Franco.
Molti spagnoli hanno fatto un balzo sulla sedia leggendo i primi tomi del nuovissimo «Dizionario Biografico», l’opera monumentale (50 volumi, i primi 25 appena presentati davanti a re Juan Carlos di Borbone) della Reale Accademia di Storia di Madrid. Un lavoro finanziato dal governo del premier socialista Josè Luis Zapatero con sei milioni di euro che offre una sorprendente rilettura del passato recente del paese in chiave nostalgico-franchista. L’opera ha scatenato un mare di polemiche.
La sinistra ha chiesto al governo di riferire in parlamento. Il senatore catalano Joan Saura ha chiesto «il ritiro immediato» del Dizionario, ispirato a «idee del pensiero fascista spagnolo». I ministri dell’ educazione Angel Gabilondo e della cultura Angeles Gonzalez-Sinde hanno invitato l’Accademia a correggere i capitoli «non obiettivi». Ma il presidente degli storici Gonzaleo Anes y Alvarez, Marchese di Castrillon, ha risposto picche. «Non correggeremo niente». La stampa è insorta: «si tratta di un grottesco tentativo di fare pseudo-storia, sul modello della strategia stalinista di deformazione del passato», accusa Publico.
La biografia di Franco è quello che più ha fatto scattare i campanelli d’allarme. Il generalissimo, che nel 1936 guidò il golpe militare contro la repubblica, poi massacrò nella Guerra Civile decine di migliaia di repubblicani, quindi diresse la dittatura fino alla morte nel 1975, viene descritto come un valoroso capo militare, e come un uomo di stato solo «autoritario». Ma la sua biografia è stata curata dallo storico Luis Suarez, vicino alla Fondazione Franco, presidente della Confraternita del Valle de los Caidos’, il Mausoleo del generalissimo. Nel capitolo sul Caudillo la parola ‘dittatorè non esiste, non c’è spazio per le atrocità della Guerra Civile e per le esecuzioni sotto la dittatura. Ma anche altre biografia di personaggi dell’epoca sono surreali. L’ultimo governo repubblicano del socialista Negrin, è definito «praticamente dittatoriale». Il generale franchista Carlos Asensio Cabanillas secondo il Dizionario nel 1936 prese parte «al Glorioso Sollevamento Militare, per la Salvezza della Spagna», ossia il putsch di Franco le cui milizie sono definite «forze nazionali». Cabanillas, fra l’altro, spiega il Dizionario, prese all’esercito repubblicano Almendralejo, in Extremadura «dove rimase per normalizzare la vita della città». Una ‘normalizzazionè, precisa El Pais citando lo storico britannico Paul Preston, che avvenne così: «oltre mille persone, fra cui 100 donne, furono fucilate. Prima molte delle donne furono violentate».

Nucleare, sarà referendum

Berlusconi incassa lo smacco della Cassazione: il quesito è ammisibile. E adesso il voto del 12 e 13 giugno potrebbe acuire la crisi nella maggioranza.

di Emiliano Biaggio

La Corte di Cassazione dice sì al referendum sul nucleare: l'organismo di giustizia ravvisa infatti l'ammissibilità del quesito referendario, sostenendo che le norme contenute nel decreto Omnibus non fanno venir meno le ragioni della consultazione popolare. Si dovranno soltanto ristampare le schede, in quanto i quesiti andranno riformulati in base al testo del decreto omnibus. Il tempo per rifare e rispedire le schede c'è, e adesso la maggioranza teme in un altra sconfitta popolare. Berlusconi del resto, ha espresso parole che lasciano intendere come nel Pdl si sia già preso atto della decisione della Corte di Cassazione e dell'esito della chiamata alle urne. «Io personalmente sono convinto che il futuro sia dell'energia prodotta dalle centrali nucleari ma se la popolazione non lo vuole, non lo vuole», ha detto il primo ministro. Berlusconi mette dunque le mani avanti, e probabilmente è consapevole di una nuova sconfitta in arrivo. «Chi e' al Governo prende atto di cio' che vuole la gente», ha ribadito il presidente del Consiglio, ora in acqua ancor più torbide. Gli italiani bocciano i partiti di governo con le presidenziali e potrebbero bocciare le politiche di governo su acqua, energia e giustizia, acuendo la crisi già in atto all'interno della maggioranza. E se il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, lancia un appello affinchè «questo referendum non si trasformi in un voto pro o contro Berlusconi» in quanto «questi referendum riguardano tutto il Paese», la deputata europea del Pd, Deborah Serracchiani, lascia intendere che il referendum potrebbe dare una ulteriore spallata all'esecutivo. Per Serracchiani «si sta giocando la partita sul quorum e di conseguenza sull'efficacia del quesito sul legittimo impedimento: e quello si' sarà il vero referendum su Berlusconi». E Berlusconi l'ultimo referendum sulla sua persona l'ha perso, e malamente, con le amministrative.