Saturday, 29 May 2010

Corea, manovre di guerra al 38° parallelo

Accuse reciproche, una corvetta affondata con 46 morti. E se Seul minaccia sanzioni al nord, Pyongyang avverte: «pronti alla guerra».

di Emiliano Biaggio

Riservisti richiamati, stato maggiore dell'esercito in stato d'allerta, spostamento di uomimi e mezzi lungo il confine, la labile linea disegnata dal 38° parallelo che da più di messo secolo divide in due la Corea. Una divisione in questi ultimi tempi arrivata laddove mai era arrivata da quando venne firmato, nel lontano ma mai superato 1953, l'arministizio tra il nord comunista e il sud filo-occidentale. Adesso le due parti si fronteggiano, si sfidano, si accusano. Seul imputa al regime di Kim Jong-il l'affondamento della corvetta Cheonan, costato la vita a 46 marinai sudcoreani. Un'inchiesta condotta insieme a rappresentanti di altri paesi, ha rinvenuto resti di un siluro di fabbricazione nordcoreana. Pyongyang smentisce, ma il governo di Seul risponde con sanzioni. Quarantasei morti non sono pochi, soprattutto per chi a breve - il 2 giugno - va al voto: il presidente sudcoreano, il conservatore Lee Myung-Bak, agli elettori promette una «risposta forte» ai responsabili dell'affondamento della Cheonan. I nordcoreani non accettano le sanzioni promesse dal sud, e per tutta risposta rompono le relazioni diplomatiche, interrompono le vie di comunicazione di terra, chiudono lo spazio aereo e le contese acque del mar Giallo. A proposito di mare: da Pyongyang arrivano accuse di decine di sconfinamenti da parte di imbarcazioni del sud, sud che dal canto suo smentisce. Il sud si prepara al peggio, e anche gli Stati Uniti sono in allerta: la Casa Bianca ha detto ai soldati di stanza in Corea del Sud di essere pronti a tutto.
Se Pyongyang minaccia «azioni militari» perchè l’accusa alla Corea del Nord sull’affondamento della corvetta Cheonan «è così grave che una guerra può scoppiare in qualsiasi momento», restano però gli interrogativi per una vicenda che non si capisce bene come sia effettivamente iniziata e che ancora meno si può dire come andrà a finire: dall'impenetrabile cortina che avvolge la Corea del Nord giungono voci che vorrebbero Kim Jong-il alle prese con tentativi di rovesciamento da parte dei militari, che non avrebbero gradito l'investitura del figlio del dittatore quale successore leader del paese. Kim Jong-il starebbe dunque giocando il tutto per tutto nel tentativo di impegnare altrove le frustrazioni delle alte sfere dell'esercito non più fedeli come in passato. Da parte statunitense e sudcoreana monta la paura per il nucleare nordcoreano: per questo si pondera come intervenire. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha invitato alla «pazienza», conscia del fatto che un conflitto armata non gioverebbe a nessuno e potrebbe assumere proporzioni devastanti. A Seul sanno che in caso di attacco vincerebbero in pochi giorni, ma sanno anche che una guerra non conviene. In tutto questo si aggiungono altri due fattori: la maggior parte dei sudcoreani non vuole la riunificazione con nord, troppo diverso e soprattutto, troppo costoso da rimettere in piedi; la Cina non vuole un crollo del regime perchè in caso di apertura delle frontiere avrebbe il problema di milioni di profughi. Insomma, il rompicapo coreano è ancora tutto da risolvere.

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