Alemanno lancia l'idea di una "contestazione in concessione". Un precedente pericoloso, tra le critiche dell'opposizione e l'apertura della Uil.
di Emiliano Biaggio
Una tassa per le manifestazioni. O meglio, «una sorta di tassa sui cortei». Forse qualcosa simile alla tassa per l'occupazione del suolo pubblico: in questo modo manifestare cessa di essere un diritto per diventare una concessione, fonte di introiti per le casse comunali. Una mossa geniale, con cui assestare un duro colpo a diritti e alle libertà civili. Comunque la si veda, per chi la propone - nella fattispecie il sindaco di Roma, l'ex Msi ed ex An Gianni Alemanno - la proposta offre una doppia possibilità di successo: se si manifesta, si guadagna; se non si manifesta per non pagare la tassa, si toglie dalle strade la voce critica. E Federico Guidi, presidente della commissione Bilancio del comune di Roma, scopre le carte in tavola: «Con l'introduzione del contributo sui cortei diminuiranno in modo significativo manifestazioni e presidi nella Capitale». La questione può sembrare romana e quindi locale, ma non è così. I principi sono generali, validi sempre e applicabili in ogni caso. Negare il diritto di sfilare per le strade a Roma apre le strade per l'abolizione del libero diritto di manifestazioni ovunque. E non è un caso se Flavia Leuci, consigliere provinciale del Pd, sostiene che «Alemanno medita quella che pare una tassa sul dissenso». Gli uomini di Alemanno fanno quadrato attorno al proprio leader. Per Giorgio Ciardi, delegato del sindaco alle politiche della Sicurezza, introdurre una tassa «è non solo giusto ma anche a buon diritto» necessario in nome di decoro e sicurezza cittadini. Federico Mollicone, membro della commissione Sicurezza del Comune di Roma, approva l'idea di «far pagare agli organizzatori delle manifestazioni nazionali che si svolgono in città i servizi correlati di vigilanza, manutenzione e decoro. Ma più che di tassa, si dovrebbe parlare di tariffa». «Altro che "contributo sui servizi"», critica Enrico Panini, segretario confederale e responsabile delle Politiche organizzative della Cgil. Si tratta di «una vera e propria tassa sulla democrazia», posta su «un diritto - quello di poter manifestare le proprie convinzioni - che è tutelato dalla Costituzione». E se di «strada assolutamente sbagliata» parla la Cisl col Mario Bertone, alla Uil si dicono «disponibili a discuterne al tavolo istituzionale». Insomma, la storia si ripete: si svendono i diritti con il beneplacito di una parte del mondo sindacale.
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