Gli equilibri geopolitici, vecchi e nuovi, passano per le risorse energetiche. E da una fase che vede nuovi soggetti protagonisti del presente e già proiettati al futuro.
di Emanuele Bonini
Gli equilibri geopolitici mondiali presenti e soprattutto futuri passano per l'energia. Tutti, da esperti a politici a operatori del settore ne sono sempre più convinti e coscienti: quello energetico costituisce il nodo cruciale da sciogliere per capire verso quali assetti sta andando il mondo. Già adesso la corsa all'accaparramento delle risorse energetico ha determinato nuove alleanze e aperto nuovi fronti di concorrenza: l'asse Pechino-Caracas per il petrolio o i rapporti privilegiati tra Brasile, Argentina e Bolivia nel mercato del gas sono solo due dei nuovi scenari che rimettono in discussione i sistemi in vigore fino a pochi anni fa. Per intenderci, gli Stati Uniti non hanno più quella prese nel sud America che avevano fino a pochi decenni fa, e l'America Latina si sta pian piano emancipando. Ma non c'è solo il sud America: ci sono i paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina, cui si affianca un Sudafrica che avanza a ritmi forsennati), in continua, forte e costante crescita economica mentre il resto del mondo soffre una crisi che non accenna a finire. Potenze emergenti e grandi in declino: glà questa sola equazione basterebbe da sola a sintetizzare i cambiamenti geopolitici in atto. Ma la corsa all'energia è e sarà sempre più strategica: svincolarsi dalla dipendenza dell'altro garantisce libertà, la certezza di non dover concedere niente a nessuno; garantirsi alleanze - come sta facendo la Cina in Africa - e quindi accesso alle risorse è il colonialismo di nuovo corso. In questo i nuovi grandi sono in vantaggio: sono in crescita e possono offrire liquidità, ma soprattutto contropartite. E' il caso cinese. Il governo di Pechino in Africa porta infrastrutture e modernità: a differenza del vecchio occidentale che sfruttava, qui per le risorse dà in cambio contropartite che fanno comodo. Applica, in sostanza, il principio per cui il commercio internazionale porta benefici reciproci. Lo stesso sono in grado di fare India e Brasile. Questi paesi (la Russia no) si pongono inoltre all'avanguardia sul fronte energetico: conoscono un'espansione in un momento che consente loro di investire nelle fonti rinnovabili, costruendo un sistema produttivo che l'occidente non ha e che convertire sarebbe economicamente oneroso in fase di normalità, ma che diventa assai doloroso (e poco fattibile) in una fase di crisi come quella in corso. I paesi del Brics procedono in sostanza con quello che gli altri - al momento - non si possono permettere. Finendo con l'essere favoriti da uno sviluppo successivo a quello degli altri. I paesi sviluppati puntano sui combustibili fossili perchè su questi hanno costruito le proprie fortune e i propri sistemi, ma senza creare strategie alternative allo sfruttamento degli altri. Non è un caso se le politiche di sostenibilità restino lettera morta e parole mai convertite in atti concreti. Ma adesso gli ordini sono rimessi in discussione: al polo c'è una corsa alle risorse sommerse, in Africa agli europei si sono sostituiti i cinesi, nei governi di tutta Europa - e in quello statunitense - ci sono progetti per la realizzazione di gasdotti di strategico interesse (Nabucco e SouthStream) che dovrebbero bypassare la Russia, ma in chiave iraniana. Peccato che oggi non si può isolare la Russia senza fare i conti con la Repubblica islamica, che allo stato attuale offre poche garanzie. Qualcosa, insomma, cambierà. In un senso o nell'altro. Questo è inevitabile, perchè le risorse energetiche permettono di andare avanti. E rappresentano la sfida più difficile da affrontare.
di Emanuele Bonini
Gli equilibri geopolitici mondiali presenti e soprattutto futuri passano per l'energia. Tutti, da esperti a politici a operatori del settore ne sono sempre più convinti e coscienti: quello energetico costituisce il nodo cruciale da sciogliere per capire verso quali assetti sta andando il mondo. Già adesso la corsa all'accaparramento delle risorse energetico ha determinato nuove alleanze e aperto nuovi fronti di concorrenza: l'asse Pechino-Caracas per il petrolio o i rapporti privilegiati tra Brasile, Argentina e Bolivia nel mercato del gas sono solo due dei nuovi scenari che rimettono in discussione i sistemi in vigore fino a pochi anni fa. Per intenderci, gli Stati Uniti non hanno più quella prese nel sud America che avevano fino a pochi decenni fa, e l'America Latina si sta pian piano emancipando. Ma non c'è solo il sud America: ci sono i paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina, cui si affianca un Sudafrica che avanza a ritmi forsennati), in continua, forte e costante crescita economica mentre il resto del mondo soffre una crisi che non accenna a finire. Potenze emergenti e grandi in declino: glà questa sola equazione basterebbe da sola a sintetizzare i cambiamenti geopolitici in atto. Ma la corsa all'energia è e sarà sempre più strategica: svincolarsi dalla dipendenza dell'altro garantisce libertà, la certezza di non dover concedere niente a nessuno; garantirsi alleanze - come sta facendo la Cina in Africa - e quindi accesso alle risorse è il colonialismo di nuovo corso. In questo i nuovi grandi sono in vantaggio: sono in crescita e possono offrire liquidità, ma soprattutto contropartite. E' il caso cinese. Il governo di Pechino in Africa porta infrastrutture e modernità: a differenza del vecchio occidentale che sfruttava, qui per le risorse dà in cambio contropartite che fanno comodo. Applica, in sostanza, il principio per cui il commercio internazionale porta benefici reciproci. Lo stesso sono in grado di fare India e Brasile. Questi paesi (la Russia no) si pongono inoltre all'avanguardia sul fronte energetico: conoscono un'espansione in un momento che consente loro di investire nelle fonti rinnovabili, costruendo un sistema produttivo che l'occidente non ha e che convertire sarebbe economicamente oneroso in fase di normalità, ma che diventa assai doloroso (e poco fattibile) in una fase di crisi come quella in corso. I paesi del Brics procedono in sostanza con quello che gli altri - al momento - non si possono permettere. Finendo con l'essere favoriti da uno sviluppo successivo a quello degli altri. I paesi sviluppati puntano sui combustibili fossili perchè su questi hanno costruito le proprie fortune e i propri sistemi, ma senza creare strategie alternative allo sfruttamento degli altri. Non è un caso se le politiche di sostenibilità restino lettera morta e parole mai convertite in atti concreti. Ma adesso gli ordini sono rimessi in discussione: al polo c'è una corsa alle risorse sommerse, in Africa agli europei si sono sostituiti i cinesi, nei governi di tutta Europa - e in quello statunitense - ci sono progetti per la realizzazione di gasdotti di strategico interesse (Nabucco e SouthStream) che dovrebbero bypassare la Russia, ma in chiave iraniana. Peccato che oggi non si può isolare la Russia senza fare i conti con la Repubblica islamica, che allo stato attuale offre poche garanzie. Qualcosa, insomma, cambierà. In un senso o nell'altro. Questo è inevitabile, perchè le risorse energetiche permettono di andare avanti. E rappresentano la sfida più difficile da affrontare.
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