Wednesday, 5 October 2011

Via da Confindustria, riecco i vecchi padroni

La Fiat annuncia l'uscita dall'associazione, che dal 2012 perderà anche Pigna. Perchè l'imprenditore vuole essere libero di fare ciò che vuole.

di Emiliano Biaggio

«Confermo che Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto immediato dall'1 gennaio 2012». Firmato: Sergio Marchionne. L'amministratore delegato del Lingotto annuncia l'uscita dall'associazione degli industriali, facendole perdere peso - e quindi importanza - ma soprattutto proseguendo in quel percorso molto chiaro che vuole il ritorno del padrone quale signore assoluto delle fabbriche. Già con l'accordo di Pomigliano, dove Marchionne impose e ottenne la cancellazione di una buona parte dei diritti dei lavoratori e la riscrittura del diritto del lavoro, si capiva che il manager intendeva ridimensionare i sindacati e accrescere il potere decisionale del datore di lavoro. Il risultato è quello che tutti conosciamo: pause pranzo a fine turno, cioè dopo 8 ore; 80 ore di straordinario in più per lavoratore all’anno, che l'azienda stabilisce senza dover rendere conto al sindacato; primi tre giorni di malattia non retribuiti se considerati "assenteismo anomalo". Definirlo un nuovo embrione di schiavismo potrebbe essere per alcuni legittimo, per altri (i diretti interessati) fuori luogo, in quanto - in applicazione di quel malsano principio ormai riconosciuto da tutti per cui se si paga si può fare ciò che si vuole - l'azienda stipendia il proprio dipendente. A maggior ragione l'uscita da Confindustria. L'accordo di Pomigliano erano le prove generali per quella libera possibilità di stipulare contratti aziendali singolarmente, come vuole Marchionne. Il liberismo sfrenato che senza regole si traduce in giungla. Questo è. E in questo Marchionne trova seguito. In politica, innanzitutto. Sia nel ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, da sempre contro i sindacati più intransigenti (Cgil e Fiom), sia nei parlamentari. Infatti, sull'onda dell'annuncio di Marchionne la Lega chiede a Tremonti di far uscire da Confindustria le aziende di Stato (Ansaldo, Enel, Eni, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, solo per citarne alcune). In questo modo Confindustria perderebbe notevole peso ed Emma Marcegaglia - va sottolineato, piuttosto critica con questo governo - perderebbe autorevolezza e margini di trattative, in quanto rappresentante di piccole e medie imprese. In attesa di risposte dell'azionista (il Tesoro, e quindi Giulio Tremonti), Giorgio Jannone, presidente e amministratore delegato delle cartiere Pigna nonchè deputato Pdl (nel solito intreccio e forse conflitto di interessi tra politica ed economia), annuncia l'uscita da Confindustria del proprio gruppo. Il motivo? «Confindustria - spiega Jannone - deve rappresentare tutti gli iscritti, senza assumere posizioni marcatamente politiche, e senza porre ultimatum al governo, senza avallare candidati politici o annunci a pagamento». Fondata nel 1870, Pigna è una delle industrie italiane più antiche, ed è tra le aziende che fondarono Confindustria. Una sua uscita sarebbe dunque una defezioni di non poco conto. Ma Jannone esclude i condizionali. «Dall'1 gennaio 2012 - annuncia - non parteciperemo più a Confindustria, la cui iscrizione, tra l'altro, rappresenta un onere per tutte le imprese italiane non indifferente, essendo parametrata sul monte salari». Ecco dunque svelato l'arcano: i dipendenti costano troppo, e ciò non è più tollerabile. Insomma, Marchionne detta la linea padronale e i grandi proprietari si allineano. Ferie, malattie, maternità, pause, straordinari pagati, contratti a tempo indeterminato sono ormai lussi che non ci si può permettere. Le pistole semiautomatiche, invece, possono costare appena 150 euro. Pallottole incluse. Perchè l'operaio non dovrebbe prendere la mira e premere il grilletto? In fin dei conti, «l'assassinio è l'attività imprenditoriale su cui prospera il vostro sistema e si afferma rigogliosa la vostra industria»*.

*Charlie Chaplin, dal monologo finale di Monsieur Verdoux, 1947

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