A capo della rivoluzione di velluto ha messo in crisi il comunismo in Cecoslovacchia, che ha guidato fino al 1992. Poi ha scritto le prima pagine della "nuova" Repubblica ceca.
di Emiliano Biaggio
La Repubblica ceca piange Vaclav Havel, l'Europa tutta lo ricorda e gli rende omaggio. Dopo una lunga malattia si spegne a 75 anni una delle personalità più importanti dal secondo dopoguerra a oggi. Ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica ceca, Havel è stato l'uomo del cambiamento, il traghettatore della Cecoslovacchia verso il nuovo mondo, quello occidentale. Ma quello fu il ruolo che Havel ricoprì solo alla fine dell'esperienza comunista e del controllo di Mosca, segnati dalla rivoluzione di velluto di cui egli stesso fu promotore e leader insieme all'allora connazionale Alexander Dubček. L'opposizione non violenta sorta il 17 novembre 1989 a Bratislava e immediatamente estesa in tutta la Cecoslovacchia, finì per scrivere la storia, di quel paese e non solo: a inizio dicembre i confini con la Germania ovest e l'Austria vennero smilitarizzati, e il 10 dicembre presidente comunista Gustáv Husák nominò un governo in buona parte non comunista e si dimise. Era la fine di un'era. Nasceva una nuova Cecoslovacchia, che aveva in Havel il presidente della Repubblica. Egli fu uno strenuo sostenitore dell'unità tra cechi e slovacchi, e si battè perchè i due popoli potessero continuare ad avere uno stesso comune destino. Quando fu chiaro che Repubblica ceca e Slovacchia avrebbero continuanto separatemente il cammino post-comunista, Havel si dimise. Sarebbe poi stato eletto dal parlamento ceco presidente della Repubblica ceca. E' il 2 febbraio 1993. Haver manterrà al carica di capo dello Stato per un decennio esatto, traghettando il nuovo paese europeo verso il nuovo ordine globale. Sostenne con forza l'adesione del suo paese alla Nato, avvenuta poi nel 1999, e si battè per dare certezze e sicurezza alla sua nazione intessendo legami sempre più forti con gli Stati Uniti. Dopo essere stati per decenni satelliti di Mosca, era la svolta definitiva. Amato dalla sua gente, Havel attirò su di sè aspre critiche quando disse "sì" al progetto di scudo spaziale degli Stati Uniti. «E' sempre un bene se l'America è un po' ancorata in Europa», si limitò a spiegare alla sua gente, per la quale concepì un'epoca nuova, completamente diversa dall'isolazionismo patito con il comunismo. Perchè con la fine del regime non c'era solo un nuovo stato, ma anche una nuova Europa, quella che sarebbe stata definita solo nel 1992 con il trattato di Maastricht.
Havel non ce l'ha fatta a traghettare il suo paese verso questa nuova Europa, per la quale ha comunque tracciato la rotta. I suoi successori, nel 2004, hanno saputo compiere quel passo che il leader ceco non aveva avuto modo di fare, portando la Repubblica ceca nell'Ue. Imprigionato dai comunisti perché dissidente, ha lottato per la libertà e l'indipendenza di due popoli, arrivando a consegnare un nuovo destino alla Repubblica ceca e alla Slovacchia di oggi. Tutti non hanno potuto fare a meno di ricordarlo. A partire da Lech Walesa, altro nome storico per l'Europa d'oltre cortina. «È stato un grande teorico della nostra epoca - ha detto - e la sua voce mancherà enormemente all'Europa, soprattutto ora che attraversa un periodo di profonda crisi». «La sua dedizione alla libertà e alla democrazia è indimenticabile tanto quanto la sua grande umanità», il corodoglio di Angela Merkel, leader della Germania di oggi e vecchia esponente della Ddr di ieri. Havel era «un europeo», ha detto invece Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, «E' stato un campione della democrazia e della libertà». Ora che non c'è più «il suo nome sarà per sempre legato alla riunificazioned dell'Europa e all'espansione dei suoi valori nelle regioni centrale e orientale del continente».
No comments:
Post a Comment