Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo. Oppure può essere la facciata di un palazzo, una strada: dipende su cosa si affaccia la finestra da cui noi guardiamo il mondo. Ma belle o meno che siano le immagini che penetrano i vetri chiusi, la tentazione di uscire per vedere se c'è altro oltre a ciò che si scorge è davvero intensa, specie se dietro a quella finestra ci si ritrova costretti. Fuori piove: le piccole pozzanghere che si formano sull'irregolare pavimentazione pedonale realizzano piccoli specchi dove il mondo si riflette. Fuori tira vento: lo si vede dai fusti degli alberi che si piegano e dai fogli di giornale che roteano sulla strada. Fuori fa freddo: lo si capisce guardando i passanti che si stringono nei loro cappotti, dai cappucci tirati sulla testa. In giornata come queste stare al caldo, al riparo della propria casa, è forse la soluzione migliore. Peccato solo che sia la scelta obbligata. Il freddo porta con sè i mali della brutta stagione, costringendo a letto e alle cure del caso. In questo caso all'autosoccorso. E' in questi casi che si capisce cosa significhi veramente essere via di casa, anche se questa non è proprio questa l'espressione più giusta per definire quel senso di smarrimento che si avverte. E' lo stordimento dovuto all'influenza. No, è un'altra cosa. I brividi di freddo testimoniano la rigidità delle temperature o l'aumento della febbre? Nel dubbio la coperta è il rimedio migliore. Visto da sotto una coperta il mondo è un soffitto o un parete. Gli spazi si restringono sempre di più, il senso di oppressione aumenta. Si vorrebbe avere luce, sole, aria fresca, tante strade su cui camminare, infiniti angoli da girare, nessuna finestra da cui guardare. Si finisce col sentirsi prigionieri, e ci si rende conto di come debba essere il mondo visto da dietro le sbarre. O forse no, si può immaginare.
"A cosa pensi?"
"A te"
"A me?"
"A te"
"Ma io..."
"Lo so. Tu hai altri progetti"
"Io non esisto"
"Ma... Scusa, io ti vedo, io ti sento. Che stai dicendo?"
"Mi vedi perchè mi vuoi vedere"
"Che cosa sei?"
"Sono quello che vuoi"
"Sei un sogno?"
No, forse sono illusioni. O deliri. Vista con la maschera deformante della malattia la realtà assume contorni sfumati e forme indistinte. La finestra da cui filtra la luce del giorno resta una frontiera lontana e difficile da raggiungere, e l'unica dimensione vera in cui ci si può ritrovare è quella che viviamo. Come quella di ogni giorno, del resto. Ma se è vero che ogni giorno è diverso l'uno dall'altro, anche in questo caso la realtà è mutevole. Difficile dire cosa sia concreto e cosa no.
"Dove sei? Perché non mi rispondi?"
"Te l'ho detto. Non esisto"
"Sì che esisti. Lo so che esisti"
"Come fai a dirlo?"
"Vedo la tua ombra"
"A volte l'ombra non ci permette di vedere molte cose. Come la verità che non vuoi accettare""Che significa? Vuoi forse dirmi che non esisti per me?"
"No. Esisto perchè tuo vuoi che io esista. Ma non sono reale"
"Questo non ha senso. Vuol dire che sono pazzo? O forse..."
"Non dirlo"
Quando ci si sveglia il mondo è una dilatazione spazio-temporale. Occorre del tempo prima di rendercisi conto dove ci troviamo e cosa stiamo facendo. Ciò è ancor più vero quando alla naturale stanchezza si aggiunge la spossatezza del malanno e gli effetti dei medicinali assunti per contrastarlo. Se ci si riesce ad alzare senza sbandamenti vuol dire che la strada della guarigione è guarita. Il primo pensiero va allora all'esterno, perchè a forza di stare rinchiusi è naturale avvertire il bisogno di uscire. Per cui si corre a scostare la tendina. Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo.
"A cosa pensi?"
"A te"
"A me?"
"A te"
"Ma io..."
"Lo so. Tu hai altri progetti"
"Io non esisto"
"Ma... Scusa, io ti vedo, io ti sento. Che stai dicendo?"
"Mi vedi perchè mi vuoi vedere"
"Che cosa sei?"
"Sono quello che vuoi"
"Sei un sogno?"
No, forse sono illusioni. O deliri. Vista con la maschera deformante della malattia la realtà assume contorni sfumati e forme indistinte. La finestra da cui filtra la luce del giorno resta una frontiera lontana e difficile da raggiungere, e l'unica dimensione vera in cui ci si può ritrovare è quella che viviamo. Come quella di ogni giorno, del resto. Ma se è vero che ogni giorno è diverso l'uno dall'altro, anche in questo caso la realtà è mutevole. Difficile dire cosa sia concreto e cosa no.
"Dove sei? Perché non mi rispondi?"
"Te l'ho detto. Non esisto"
"Sì che esisti. Lo so che esisti"
"Come fai a dirlo?"
"Vedo la tua ombra"
"A volte l'ombra non ci permette di vedere molte cose. Come la verità che non vuoi accettare""Che significa? Vuoi forse dirmi che non esisti per me?"
"No. Esisto perchè tuo vuoi che io esista. Ma non sono reale"
"Questo non ha senso. Vuol dire che sono pazzo? O forse..."
"Non dirlo"
Quando ci si sveglia il mondo è una dilatazione spazio-temporale. Occorre del tempo prima di rendercisi conto dove ci troviamo e cosa stiamo facendo. Ciò è ancor più vero quando alla naturale stanchezza si aggiunge la spossatezza del malanno e gli effetti dei medicinali assunti per contrastarlo. Se ci si riesce ad alzare senza sbandamenti vuol dire che la strada della guarigione è guarita. Il primo pensiero va allora all'esterno, perchè a forza di stare rinchiusi è naturale avvertire il bisogno di uscire. Per cui si corre a scostare la tendina. Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo.
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