Saturday, 4 February 2012

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Appunti d'inverno

Gli occhi sono gonfi e bruciano. Segni indelebili di una notte brava. Le vertigini segnano il risveglio, e il cerchio alla testa è dettato più dalle poche ore dormite che dall'alcol. Avevo perso l'abitudine a ritrovarmi in simili stati, ma a volte è dolce il riscoprire la vita. Quello che invece non sopporto è l'odore della nicotina e del tabacco, che impregnano i vestiti e contaminano l'aria. A livello sensoriale l'acre odore di sigaretta è la prima cosa che si percepisce quando ci si alza, e non affatto una piacevole esperienza. Chissà come facevo quando ancora fumavo e soprattutto quando in tutti i locali era consentito fumare. Oggi devo dire che l'aver perso quel vizio - che all'inizio rimpiangevo - non mi spiace affatto, e non mi abituerò mai a questi vestiti intrisi di odori oggi più che mai fastidiosi. Oggi so già quello devo fare: lasciare i vestiti sul davanzale della finestra, e lasciare che le rigide temperature invernali compiano il loro dovere. Domani, poi, sarà lavanderia. Ma adesso bisogna pensare al pranzo. Strano: alzarsi per scoprire che è già ora di pranzo. Quant'è che non accadeva una cosa del genere? Da quando, anche in quel caso, vivevo da solo lontano da casa. Di fatto una vita fa, ormai. Riscoprire che la colazione può essere saltata, che i canoni tradizionali possono essere dimenticati, che si mangia quando si ha fame e non in momenti stabiliti o prestabiliti: devo ammettere che tutto questo mi mancava. Qualcuno, nelle stesse condizioni, potrebbe forse dire che è sopraggiunto un ciclone a rendere la vita improvvisamente troppo movimentata - o peggio - sregolata, rendendola così insostenibile. Personalmente noto un'ondata di vita e vitalità che mi proietta indietro negli anni. Le somiglianze, del resto, sono tante: locali danzanti posti sottoterra, a quello che in comune ascensore verrebbe indicato con "-1"; stesse canzoni selezionate dai dj; stesso senso di mancanza di spazio e ossigeno per la quantità impressionante di persone e l'evelata concentrazione di anidride carbonica e fumo di sigaretta. Ma forse è solo che bene o male queste discoteche sono tutte così, e io qui non posso fare a meno di sentirmi fuori luogo, anche se tuttosommato non mi dispiace trovarmici più di tante altre volte. La verità è che ho nostalgia. Di tutto. Per questo noto le somiglianze con il passato. E nel mio passato c'è una fase fatta di discoteche tutte le sere, in fin dei conti.

E' arrivata un'ondata di vitalità. O forse ne è solo il preludio. Difficile dirlo, quando ci si sente sospesi nel vuoto, quandi spazio e tempo perdono di significato, e il senso è qualcosa che non più alcun valore. Di certo è arrivata l'ondata di freddo, il freddo quello vero. Il viso scotta sotto i colpi di questo gelo polare. La colonnina di mercurio ha abbandonato lo 0, è distante dal segno positivo ben 9 tacchette. La neve, che scricchiola e crepita sotto i piedi, conferisce però all'ambiente un'atmosfera di grande fascino, soprattutto quando la città non è più di nessuno. Nel silenzio della notte questa città coperta di bianco ha un che di magico. Anche qui spazio e tempo hanno forse perso di significato, o magari è vero il contrario: hanno riacquistato il loro significato più vero. La città si mostra per come è realmente: una dimensione dechirichiana frutto dell'uomo, di cui però non v'è traccia se non in ciò che ha costruito. Strano: nessuno vuole stare da solo, ma talvolta la solitudine sa essere davvero affascinante. Le statue che si ergono sulle colonne del muro di cinta di Petit Sablon, guardano fiere dritte davanta a sè.
"Che ci fai qui?", sembrano dire. "Non vedi che è chiuso? Vai a dormire pure tu!".
Sì, ci andrò. Tra un attimo. Prima c'è ancora un po' di strada da fare.

Place Poulaert è abbandonata persino dai taxi. Solo i soldati del monumento ai caduti sono rimasti lì, a presidiare come fanno da sempre quegli ampi spazi dove tutto scorre, tutti sono di passaggio e nessuno arriva mai per fermarsi. La neve accumulata su queste statue ricorda che in guerra non c'è solo il nemico con cui fare i conti, ma il dover stare nelle condizioni più estreme: in trincea, al freddo, al gelo... E io sono qui per vincere o soccombere?
"Cosa fate, soldati? Perchè ve ne rimanete così, soli e al gelo?"
"Abbiamo il compito di vigilare e controllare che nessuno dimentichi".

Già, l'uomo tende sempre a dimenticare. E di me, si ricorderanno? Sì, naufrago nella mia nostalgia. Ma non è questa l'ora di perdersi in simili pensieri, questa è l'ora di andare.
Entrare a casa quasi alle cinque, dopo essere uscito dopo mezzanotte: sì, il tempo ha perduto il suo significato tradizionale. Le lancette si sono fermate, o forse hanno solo iniziato a correre troppo in fretta. E' gia mattino. No. E' solo ora di andare a dormire.
Gli occhi sono gonfi e bruciano. Segni indelebili di una notte brava. Le vertigini segnano il risveglio, e il cerchio alla testa è dettato più dalle poche ore dormite che dall'alcol. Avevo perso l'abitudine a ritrovarmi in simili stati, ma a volte è dolce il riscoprire la vita. Allora perchè tutta questa inquietudine?

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