Saturday, 10 November 2012

Biaggio risponde

Io non capisco una cosa...
Per quale motivo i giornalisti non devono andare in carcere?
stanno approvando in parlamento una legge ad personam, anzi ad castam...se qualcuno ha sbagliato, ha diffamato senza avere delle fonti certe,obiettive e chi aveva l'obbligo di controllare che un articolo diffamatario non venisse pubblicato e reso a tutti quanti deve pagare, anche con la reclusione...
In alcuni casi inoltre a seguit di diffamazione a mezzo stampa è necessaria la rettifica e quest'ultima viene messo in fondo alla pagina del giornale senza dare il risalto enfatico che aveva avuto la notizia diffamante... (Giancarlo, Albano laziale)


Caro Giancarlo, intanto ricordo che il nostro sistema giuridico prevede e disciplina le fattispecie di reato e di casistiche da te menzionate. Il codice penale ha infatti articoli dedicati a "Diffamazione a mezzo stampa" (artt. 595, 596, 596 bis, 597, 599 c.p.) e articoli relativi alla "Responsabilità del direttore e dell’editore" (artt. 57, 57 bis, 58, 58 bis c.p.). Il carcere per i giornalisti che ledono la dignità della persona è previsto, quindi stai tranquillo che la tua sete di giustizia è già calmata. Inzio a rispondere alla tua domanda con una domanda: è proporzionato il carcere per un diffamatore? Ebbeno, io dico di no. E' come dire che chi uccide merita la pena di morte. La base del nostro diritto afferma che la pena non deve mai avere carattere punitivo ma educativo (art. 27 comma 3 della Costituzione), per cui qui si pone la questione della giusta pena. La discussione si sposta, credo, dal piano giuridico al piano etico. La legge, quando c'è, si applica. So che in Italia ciò potrà suonare strano, ma in genere il principio è questo. Se la legge prevede il carcere per i giornalisti - e l'attuale legislazione lo prevede - sarà all'organo giudicante a stabilire i casi in cui questa eventualità si applichi. La questione, quindi, non è giuridica ma etico e morale. Mi chiedi perchè i giornalisti non devono andare in carcere: ebbeno io ritengo che non sia la pena giusta. A mio avviso il carcere per i giornalisti è troppo, anche perchè le sanzioni pecuniarie in caso di diffamazione non sono roba da poco. Ci sono poi altri modi per colpire i giornalsti, e sono previsti dall'ordine che regola la professione (quella della storia degli albi professionale meriterebbe altri ragionamenti...): censura, sospensione dalla professione, radiazione dall'albo. Anche qui le regole ci sono, ma si bypassano con la complicità dei direttori che permettono ai loro redattori di continuare a scrivere anche se non potrebbero. Il codice deontologico e le varie "carte" che regolano la professione hanno anche regole ben precise per quanto riguarda la rettifica, con la spiegazione di quando, come, e dove deve essere pubblicata nei casi in cui questa è necessaria. Qui si pone un altro problema del nostro paese: il mancato controllo del rispetto delle leggi. Come sempre avviene, quando si verificano casi che fanno discutere si chiede la linea dura. In tutta onesta sincerità non capisco perchè. Non credo che servano sempre nuove leggi ogni volta più severe, credo che basterebbe far osservare quelli già esistenti.  Nel caso specifico questo mancato controllo del rispetto delle leggi dipende dai limiti che l'autonomia della stampa (che poi autonoma non è, e se vuoi un giorno ti spiego perchè) ha come tutti gli ordini autoregolati e autogestiti. Queste disfunzioni di una professione autoregolata sono tali da giustificare il carcere? Io dico di no. Come certo saprai, il nostro sistema di diritto è un sistema garantista: per cui nessuno è colpevole fino a prova contraria (art. 27 comma 2 della Costituzione) e chiunque ritenga di aver subito un torto - di qualcunque fattispecie esso sia - ha tutti gli strumenti legali per far valere i propri diritti. Se quello che tu pensi è vero, allora anche per Vittorio Feltri si doveva richiedere il carcere per la sua campagna - poi risultata falsa e denigratoria - contro Dino Boffo. E provvedimenti penali si dovevano chiedere anche per la proprietà editoriale del quotidiano - nota a tutti - per cui Feltri agiva in qualità di direttore.
Il ddl sulla diffamazione è un legge ad personam nella misura in cui nasce - concettualmente - per rispondere al caso di una singola persona. Anche qui inizio a rispondere partendo da una domanda: quando parli di casta a chi ti riferisci? Dalla tua domanda credo ai giornalisti, ma anche quella che fa le leggi lo è, ed è ben più potente. Perchè se pensi che quella dei giornalisti sia una casta non hai torto: per certi versi lo è. Ma lo è fino a un certo punto. C'è chi sa bene che questa intoccabilità nei fatti presunta dei giornalisti non conferisce alcun potere. Che potere ha chi è sul libro paga del governo (con i fondi statali all'editoria) e dei grandi gruppi industriali (Agi con Eni, ilSole24ore con Confindustria...)? Io sono dell'idea che la vera casta sia un'altra: quella che dovrebbe legiferare per gli italiani e invece legifera solo per uno solo di essi. Questo è un problema di democrazia. E la democrazia, quella funzionante, ha tutti gli strumenti che servono per rivalersi su chi pensa di non poter scontare mai le proprie colpe. Anche ricorrendo al carcere, certo. Dipende dalla tipologia di reato, come tu certamente sai non per tutti i reati è prevista una simile opzione. E credo che nel rispetto di questa logica, per quanto detto, il carcere per chi scrive sia eccessivo. Si rischia di intimidire chi ha il diritto e il dovere di raccontare la verità e dissuaderlo a non farlo, proprio come avviene in quei paesi dove la democrazia o è un miraggio o un retaggio di un passato lontano.
                                                                                              Emiliano Biaggio

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