Saturday, 2 February 2013
C'era una volta Zemanladia
Se ne va un'altra volta Zdenek Zeman, il profeta errante di un calcio che non c'è più. Lascia la guida della Roma, la "sua Roma, quella tanto voluta, che tanto l'ha acclamato e che - causa risultati e gioco deficitari - alla fine ne ha chiesto e ottenuto la testa. Le colpe ricadono sempre sull'allenatore, si sa. Ma l'allenatore è pur sempre lo specchio di una società, e nel caso specifico Zeman paga probabilmente anche responsabilità non sue. Ma questa è un'altra storia, che qualcouno più bravo magari un giorno racconterà. Oggi salutiamo un guerriero sconfitto, un eroe solitario e ombroso, a tratti malinconico, ma mai incapace di rinnegare sè stesso, anche a rischio di sbagliare. Il pubblico non perdona, la folla non ama mai veramente il suo leader: lo adora solo quando fa comodo. Ora Zeman è rinnegato, dopo essere stato rimpianto. Pazienza, il genere sarà anche umano ma non ha umanità. Dispiace che non sia stata data a quest'uomo di altri tempi l'ultima possibilità di rivincita: mancavano appena due partite a quella sfida contro la Juventus emblema di un calcio che non è più sport, compagine societaria che ha fatto di Zeman nemico giurato solo perchè l'uomo di boemia ha avuto il coraggio, lui soltanto, di denunciare pratiche poco consone all'agonismo e per nulla compatibili con la moralità. Non è mai stato un vincente, Zeman. Almeno, non nello sport. Trofei non ne ha mai fatti vincere, ma ha sempre regalato emozioni: cosa non da poco, in un mondo che non sa più emozionarsi ma solo caricarsi di rabbia e tensioni. Chi si aspettava squadre ai vertici non aveva capito niente. Ma chi si aspettava di poter vedere Zeman guidare la riscossa contro i rivali di sempre rimarrà certamente deluso. Una partita, di per sè, non vale niente. Nulla di più sbagliato, perchè nessuna partita è uguale alle altre. E questa verità Zeman l'ha appresa a sue spese. Ma se si riesce a farsi perdonare quattro derby persi in una stagione in una città come Roma, allora vuol dire che il frutto seminato ha germogliato: il calcio rimane calcio, dimensione sportiva, certo, ma soprattutto umana nel senso più genuino del termine. Umanamente parlando, allora, quanto sarebbe stato bello - bello perchè giusto - vedere un uomo prendersi una rivincita sportiva contro l'avversario di una vita? Questa possibilità gli è stata negata, attraverso un esonero per certi aspetti prevedeibile e comprensibile, ma comunque carico di malinconia. Un esonero che ancora una volta segna la sconfitta di un uomo - sempre lo stesso - di sani principi e giusti ideali. Ma in campo contano i punti, i gol, gli schemi: se sei onesto e bravo conta poco, e interessa ancora meno. Oggi più che mai, con il pallone in borsa. I cattivi di sempre lo saluteranno come colui che tanto parlò e poco ottenne: niente di più normale, la derisione e la dannazione sono il caro prezzo che pagano gli sconfitti. E alcune sconfitte fanno più male di altre. Addio o arrivederci? Arrivederci, ovviamente. A Zemanlandia.
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