«Sai che non è male questa città? All'inizio non credevo, ma ora devo dire che non è niente male».
Ha gli occhi persi tutt'intorno, per scrutare palazzi e parchi che si susseguono tutti intorno a noi. Sì, Bruxelles ha il suo fascino, e il suo rapimento deriva dal modo in cui il turista e l'uomo di passaggio vivono la capitale del regno. Ma nel suo caso deriva anche da altro. «Vabbeh che Helsinki non è che offra chissà che...»
Arriva dalla Finlandia, in quello che oramai è un pellegrinaggio rituale che si ripete con perfetta ricorrenza. «Tutti gli anni, nel mese di ottobre, organizziamo una riunione a Bruxelles». Così eccolo qui, questo compagno di viaggio e di esperienze. Comuni e simili. Anche lui emigrato dal suo paese, che poi è anche il mio, ma che non è più nostro. Da quanti anni che vive in Finlandia? Quanti ne bastano per non saperli più contare con precisione. Un po' come i nostri incontri. «Quant'è che non ci vediamo?» Si fa fatica a ricordare se tra questo incontro e l'ultimo che ricordiamo ce ne sia uno intermedio. Queste nuove regole che il mondo si è imposto rendono tutto più faticoso. Ormai le frontiere sono cadute, e con esse anche le certezze. E la vita è diventato un unico continente dove ricercare punti di riferimento. «Non so cosa devo fare: devo fare l'esame per diventare avvocato e devo farlo in Italia, ma ho il lavoro in Finlandia, con lo studio legale e tutto. E poi dovrei anche studiare finlandese, ma non c'ho tempo».
Il racconto di Davide è uguale a quello di tanti altri: nel mondo globalizzato tutti vivono la stessa vita fatta di continua ricerca dell'equilibrio. Piccole parti di sè lasciate nei diversi angoli del mondo, per partenze, arrivi, programmazioni di itinerari, nuovi orizzonti. Un domicilio in un paese, la residenza in un altro paese, conti bancari in due nazioni, amici in altri continenti, affari fuori dall'Unione europea. Tanti piccoli Hansel e Gretel segnano il proprio cammino per potersi raccappezzare, quando sarà il momento. O anche nell'immediato. «Gli altri adesso che fanno? Io non li ho più sentiti». Davide cerca, o forse ricerca, qualcuna di quelle briciole lasciate sul sentiero. La lontananza per lui non ha significato una morte, ma una rinascita. Ma nutre ancora affettiva curiosità per chi è rimasto sulla penisola che non c'è, dove crescere è proibito ed evolversi, di conseguenza, non consentito.
Gliele racconto quelle storie di bimbi sperduti, ancora impegnati a volare e a maledire pirati cattivi che vogliono togliere loro la fantasia. Alcuni di loro la fantasia l'hanno addirittura smarrita da sè. La fantasia di mettersi alla prova, di cercare lavoro, di pianificarsi un avvenire, di progettare. Altri continuano tra mille insidie, pochi sono quelli con qualcosa. Chi ha messo su famiglia è un fenomeno isolato, un'oasi di ridente e vivace speranza, oltre che di felicità. Davide ascolta il racconto con attenzione: è da tutto questo che si è allontanato, e vuole capire se vale la pena pensare di riavvicinarsi. Ma il ragionamento è breve, e il responso scontato. «Ho fatto la cosa migliore ad andarmene». Osserva per un attimo quello che nel piatto: la carne gioca a nascondino tra le superfici delle patate a fettine e le foglie d'insalata. «E tu? Pensi ancora di voler tornare?». La mia risposta lo sorprende. «Ma mi avevi detto che non volevi stare qui». Rispondo con le sue stesse parole, così che possa capire. «Sai che non è male questa città? All'inizio non credevo, ma ora devo dire che non è niente male».
Ha gli occhi persi tutt'intorno, per scrutare palazzi e parchi che si susseguono tutti intorno a noi. Sì, Bruxelles ha il suo fascino, e il suo rapimento deriva dal modo in cui il turista e l'uomo di passaggio vivono la capitale del regno. Ma nel suo caso deriva anche da altro. «Vabbeh che Helsinki non è che offra chissà che...»
Arriva dalla Finlandia, in quello che oramai è un pellegrinaggio rituale che si ripete con perfetta ricorrenza. «Tutti gli anni, nel mese di ottobre, organizziamo una riunione a Bruxelles». Così eccolo qui, questo compagno di viaggio e di esperienze. Comuni e simili. Anche lui emigrato dal suo paese, che poi è anche il mio, ma che non è più nostro. Da quanti anni che vive in Finlandia? Quanti ne bastano per non saperli più contare con precisione. Un po' come i nostri incontri. «Quant'è che non ci vediamo?» Si fa fatica a ricordare se tra questo incontro e l'ultimo che ricordiamo ce ne sia uno intermedio. Queste nuove regole che il mondo si è imposto rendono tutto più faticoso. Ormai le frontiere sono cadute, e con esse anche le certezze. E la vita è diventato un unico continente dove ricercare punti di riferimento. «Non so cosa devo fare: devo fare l'esame per diventare avvocato e devo farlo in Italia, ma ho il lavoro in Finlandia, con lo studio legale e tutto. E poi dovrei anche studiare finlandese, ma non c'ho tempo».
Il racconto di Davide è uguale a quello di tanti altri: nel mondo globalizzato tutti vivono la stessa vita fatta di continua ricerca dell'equilibrio. Piccole parti di sè lasciate nei diversi angoli del mondo, per partenze, arrivi, programmazioni di itinerari, nuovi orizzonti. Un domicilio in un paese, la residenza in un altro paese, conti bancari in due nazioni, amici in altri continenti, affari fuori dall'Unione europea. Tanti piccoli Hansel e Gretel segnano il proprio cammino per potersi raccappezzare, quando sarà il momento. O anche nell'immediato. «Gli altri adesso che fanno? Io non li ho più sentiti». Davide cerca, o forse ricerca, qualcuna di quelle briciole lasciate sul sentiero. La lontananza per lui non ha significato una morte, ma una rinascita. Ma nutre ancora affettiva curiosità per chi è rimasto sulla penisola che non c'è, dove crescere è proibito ed evolversi, di conseguenza, non consentito.
Gliele racconto quelle storie di bimbi sperduti, ancora impegnati a volare e a maledire pirati cattivi che vogliono togliere loro la fantasia. Alcuni di loro la fantasia l'hanno addirittura smarrita da sè. La fantasia di mettersi alla prova, di cercare lavoro, di pianificarsi un avvenire, di progettare. Altri continuano tra mille insidie, pochi sono quelli con qualcosa. Chi ha messo su famiglia è un fenomeno isolato, un'oasi di ridente e vivace speranza, oltre che di felicità. Davide ascolta il racconto con attenzione: è da tutto questo che si è allontanato, e vuole capire se vale la pena pensare di riavvicinarsi. Ma il ragionamento è breve, e il responso scontato. «Ho fatto la cosa migliore ad andarmene». Osserva per un attimo quello che nel piatto: la carne gioca a nascondino tra le superfici delle patate a fettine e le foglie d'insalata. «E tu? Pensi ancora di voler tornare?». La mia risposta lo sorprende. «Ma mi avevi detto che non volevi stare qui». Rispondo con le sue stesse parole, così che possa capire. «Sai che non è male questa città? All'inizio non credevo, ma ora devo dire che non è niente male».
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