Sulla regione incombono le trivelle, che mettono a rischio le colline del Montepulciano e il parco nazionale della Majella
di Maria Rita D'Orsogna* (dal Corriere.it)
L'Eni si appresta a trasformare l'Abruzzo in un mega campo petrolifero, trasformando il 50% del territorio in zona per l'estrazione del petrolio, comprese le colline del Montepulciano Doc, il parco nazionale della Majella, e quello di Lazio ed Abruzzo. Sono due anni che cerco di sensibilizzare abruzzesi - politici, popolo, giovani e chiesa cattolica su questo grave problema, con la stampa nazionale che sembra essere mummificata. La Basilicata, dove si trivella da 15 anni, muore, e io vorrei che per una volta in Italia fossimo preventivi e fermassimo il degrado ambientale prima di iniziare a contare i morti. In Basilicata si può.
Il petrolio abruzzese è di qualità scadente. E' un fango fortemente corrosivo e denso. L'indice API è 12. Il petrolio migliore del mondo è quello texano ad indice 40. Quello peggiore sono le sabbie del Canada con indice 8. Dunque, il petrolio abruzzese giusto un po meglio delle sabbie bituminiche dell'Alberta. L'idea dell'Eni è quella trasformare 15 ettari di terra a Montepulciano doc ad Ortona in una raffineria di petrolio creata apposta per desolforizzare le schifezze del sottosuolo abruzzese. Questo centro deve sorgere a 500 metri dal mare. Si parla di costruirne altri due nella piana di Navelli e nel Teramano. Le trivelle nel mare a Pineto ospiteranno la desolforazione sulle piattaforme stesse. L'Abruzzo quest' anno è arrivato quarto al Vinitaly di Verona per numero di medaglie sulla qualità dei vini. Questa regione fino a 50 anni fa era povera. Ora, la possiamo rigirare come vogliamo, ma vino, agricoltura, turismo e petrolio non possono coesistere. Alcuni studi dell'università californiana Davis, con uno dei dipartimenti di agricoltura più famosi d'America, ha concluso (30 anni fa!) che le emissioni di idrogeno solforato alle stesse dosi di quelle consentite dalla legge italiana, causa la morte dei vigneti. Bucare in lungo e largo l'Abruzzo significherà quasi sicuramente compromettere tutta la nostra agricoltura.
Il rapporto guadagno petrolifero/perdita agricoltura è infinitamente basso. Ad Ortona, il petrolio porterà a 30 posti di lavoro (l'ha detto l'Eni stessa) a fronte di 5000 famiglie nei vari comuni attorno alla proposta raffineria impiegate nell'agricoltura che perderanno il loro sostentamento, per non parlare del turismo e della pesca del luogo. Il petrolio abruzzese non è una risorsa per l'Abruzzo, ma per l'Eni. Non esiste un comune "petrolizzato" in Italia dove si vive bene con il petrolio: esplosioni a Trecate, petrolfiere inabissate a Genova, bimbi deformi a Gela, tumori fuori ogni limite a Falconara, inquinamento alle stelle a Melilli, Priolo, Augusta, Cremona, Falconara, Mantova, Sannazzaro, Sarroch, Marghera, Manfredonia.
Anche per quanto riguarda le famose royalties, facciamo pena. In Norvegia fra tasse locali e governative, devi lasciare l'80% del ricavato ai Norvegesi. In Italia, le tasse governative sono del 30% e poi agli Abruzzesi resterà l'1% della ricchezza estratta. Però se estrai al di sotto di un certo limite, paghi zero spaccato. Chi controlla il greggio estratto è l'estrattore stesso! Ai petrolieri si vuole regalare il 50% del territorio, compreso parte dei parchi nazionali e la costa. Su quei territori vive l'80% della gente d'Abruzzo. Un sondaggio fatto dal governo centrale mostra che il 75% degli abruzzesi è contrario alle trivelle. La terra non è dell'Eni ma degli Abruzzesi. Grazie ad altre opere già portate avanti (fra cui la centrale turbogas di Gissi), l'Abruzzo già produce più energia di quanto gli serva. Il petrolio non può coesistere con l'Abruzzo che conosciamo oggi.
(*Assistant Professor Department of Mathematics, California State University at Northridge, Los Angeles )
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