Tuesday, 8 September 2009

Resistenza e democrazia.

di Massimo Rendina (presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)

A oltre sessant’anni dall’inizio della Guerra di Liberazione sorgono spontanei molti interrogativi, primo fra tutti quello sui valori espressi dalla Resistenza: se - una volta trasferiti nella Carta Costituzionale entrata in vigore nel gennaio del 1948 - questi valori, da allora a oggi, abbiano realmente prodotto una democrazia avanzata, tale da soddisfare, non solo nei propositi, ma nei fatti, la generalità dei cittadini della Repubblica. Domande nascono anche dalle trasformazioni culturali intervenute nel corpo sociale dal 1945 ad oggi, e specialmente in questi ultimi tempi. Oggi si vuole riabilitare il peggior fascismo, quello collaborazionista coi nazisti successivo all'8 settembre 1943. Oggi c'è un'idea generale di un fascismo migliore di quello che realmente è stato, non si conoscono le cifre esatte. La diffusione di queste ideologie è dovuta principalmente alla non conoscenza della storia. I giovani d'oggi hanno perso la memoria dell'Italia. Per questo necessaria appare specialmente la riflessione da compiere assieme ai giovani spesso estraniati - anche a causa delle carenze informative e propedeutiche della famiglia, della scuola, degli stessi partiti - dalla conoscenza di un itinerario politico e culturale, condizione indispensabile alla formazione in ciascuno di un’autonoma coscienza critica, per capire, attraverso il passato, il presente, e influire sulla determinazione del futuro. Pigrizia, desiderio di dimenticare lutti, disgrazie, rovine, il goffo propositodi stendere un velo su un conflitto impropriamente qualificato guerra civile, queste e altre, le ragioni di tale rimozione storica? Proposito di rivalsa del neofascismo che abusa delle libertà democratiche? Incapacità, lassismo da parte delle forze di polizia nel fare rispettare la legge?
Siamo entrati in una situazione simile, siamo in presenza di analoghe convergenze da farci temere l’imporsi di un nuovo fascismo? C’è, nel nostro paese un substrato culturale, ideologico ed emotivo paragonabili? O non si deve riconoscere che l’avventura fascista è irripetibile perché la conflittualità sociale non è la stessa, né lo è la struttura statuale e sociale, ma soprattutto perché il popolo italiano ha acquisito una forte coscienza democratica che già negli "anni di piombo" gli fece respingere le tentazioni eversive, di destra e di sinistra, riconoscere la matrice anarco fascista e delinquenziale degli estremisti dei vari gruppi neofascisti, isolare e condannare sino ad estinguerle le Brigate rosse? La questione é un’altra, ed è prioritaria rispetto ad ogni logico rifiuto di credere possibile l’affermazione del neofascismo e del neonazismo. Riguarda le cause di inquinamento della democrazia, di inceppo al suo determinarsi ed evolversi, molte delle quali si ritrovano, appunto, all’origine del fascismo. Ed ecco l’urgenza di riproporci il quesito di fondo. La Resistenza ci ha trasmesso valori che sono stati trascurati, elusi, ma che ripresi e riproposti alla società civile ci consentirebbero di uscire dalla crisi che investe la democrazia in ogni suo dispiegarsi, statuale e di convivenza comunitaria? Dobbiamo restituire il vero significato a parole ora abusate, come «libertà», e affermare una reale coscienza democratica.
Nella Resistenza, specie nei momenti decisivi, si assistette alla confluenza degli sforzi e ognuno portò il contributo della propria particolare ideologia e visione del mondo: i comunisti la dura volontà combattiva e l’esperienza internazionale, i sociaNormali il peso e l’autorità di una tradizione antica di lotte per il progresso e per la pace,gli azionisti il fervore intellettuale e il repubblicanesimo intransigente, i cattolici la sincera ansietà d’un riscatto morale-religioso, i liberali o coloro che erano veramente tali, il richiamo a quell’“Italietta” tanto seria e onesta di fronte alla corruzione dello Stato fascista. Perché nonostante tante differenze sul piano politico, sia nel C.L.N. che tra le formazioni partigiane, ci fu il superamento di divergenze anche notevoli, di diffidenze e attriti, in nome di un’unità di intenti e di decisioni sempre privilegiata e praticata? Perchè preminente era senza dubbio condurre nel modo più efficace la guerra al nazifascismo, ma nasceva e si rafforzava, col confronto di idee e proposte, la coscienza del dialogo, delle mediazioni come pratica politica, per trovare soluzioni comuni. Per questo si può parlare del C.L.N. come di un governo non solo antifascista ma democratico. Nella Resistenza c’erano dunque, anche se imprecisati, valori democratici che solo la partecipazione popolare poteva esprimere, come scrive Riccardo Lombardi: "La Resistenza assolse un compito enorme creando le basi di una democrazia, permettendo a milioni di uomini e di donne che erano stati indottrinati dal fascismo di assumere le loro responsabilità e di partecipare per la prima volta alla vera vita del loro paese... La partecipazione popolare attiva o passiva, diretta o indiretta, questa è la democrazia".
Di fronte alla crisi profonda che attraversa il nostro paese non sono sufficienti le nuove norme istituzionali. Occorre soprattutto che la ragione vinca sulle spinte qualunquistiche e demagogiche, sugli egoismi separatisti, che insidiano il processo democratico, che i partiti riassumano il ruolo dovuto, di interpretazione della volontà popolare, di mediazione tra cittadini e istituzioni, non protesi a gestire, anche arbitrariamente, ogni forma di potere; consentendo perciò anche l’adeguata presenza delle rappresentanze di cittadini, specialmente nei governi locali, espressione delle nuove articolazioni della società. Accanto all’adozione di nuove regole statuali, un "supplemento d’anima" che richiami i valori resistenziali, quanto libertà individuali, solidarietà e convivenza civile, rivolti alla crescita democratica va invocato per accomunare tutti i cittadini nell’affrontare i mali, e sono tanti, che affliggono la comunitā internazionale e, con risvolti preoccupanti, la nostra.

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