Scarsa affluenza alle urne nel primo turno, denunce di brogli e ritiro del principale sfidante del presidente uscente: dopo anni di guerra, in Afghanistan nessuna importazione di democrazia
di Emanuele Bonini
Modello democratico che in Afghanistan non ha debuttato nel migliore dei modi: certo, nella lotta al regime dei talebani condotta proprio "in nome della democrazia", forze di coalizione e l'instabile esecutivo di Karzai sono riusciti a portare la popolazione alle urne per eleggere il nuovo presidente. Ma dalle urne ne sono usciti tutti sconfitti. Subito dopo le elezioni dello scorso agosto, infatti, sono piovute denunce di voto truccato. Innanzitutto dallo sfidante di Karzai, il tagiko Abdullah Abdullah, che ha parlato di «brogli massicci» e di «irregolarità del voto organizzate dagli uomini del presidente [Karzai]». Il principale sfidante del presidente uscente ha denunciato in particolare «decine e decine di brogli anche clamorosi» e «percentuali di affluenza nel Sud totalmente truccate, in maniera da far risultare più voti a Karzai». Che i voti non siano stati tanti, è un dato di fatto: alle urne si sono recati circa sei milioni e mezzo di afghani, su una popolazione di quasi 32 milioni di individui. Le elezioni democratiche, quindi, prim'ancora che essere "truccate" sono state boicottate dagli stessi afghani, e questo è un segnale. Poi sono iniziate le guerre di cifre: prima un 70% a Karzai, poi un 56,6% e infine un 49,7%. Un dibattito che certo non ha aiutato a sconfiggere il muro di "diffidenza" afghana verso un modello voluto dagli altri (le forze straniere) e per molti visto come imposto. E adesso visto come inefficace. Alla fine Karzai ha accettato di andare al ballottaggio: un modo, questo, per evitare critiche, scongiurare un clima di ulteriore tensione interna, e per garantirsi le simpatie degli occidentali. Ma Abdullah, a una settimana dal secondo e decisivo turno, annuncia il suo ritiro. «Un'elezione trasparente non è possibile», accusa e denuncia l'ex ministro degli esteri, che parla di «una decisione difficile» da prendere ma per la quale ha optato per «protestare contro il cattivo comportamento del governo e della Commissione elettorale indipendente». Ballottaggio inutile a questo punto, con un Karzai che si vede regalare una vittoria ma soprattutto recapitare una bella patata bollente. La mossa di Abdullah non aiuta a creare le condizioni per una riconciliazione nazionale, e c'è da scommettere che sarà motivo di ulteriori tensioni interne. Di certo getta nuove ombre su quel modello che tanto volevano importare le forze internazionali - Stati Uniti in testa - nel paese asiatico. Insomma, dall'Afghanistan arrivano sonore lezioni. Di democrazia. All'Onu, esperti in materia di fallimenti diplomatici, se ne sono accorti. «L'Afghanistan- ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon- deve ora affrontare una sfida significativa, e il nuovo presidente deve procedere velocemente a formare un governo che sia in grado di sostenere sia gli afghani che la comunità internazionale». Il sospetto è che gli afghani non vogliano essere sostenuti da questo governo. Ma del resto è comprensibile: non è facile accettare un sistema che non funziona... (fonte fote: blogosfere)
di Emanuele Bonini
Modello democratico che in Afghanistan non ha debuttato nel migliore dei modi: certo, nella lotta al regime dei talebani condotta proprio "in nome della democrazia", forze di coalizione e l'instabile esecutivo di Karzai sono riusciti a portare la popolazione alle urne per eleggere il nuovo presidente. Ma dalle urne ne sono usciti tutti sconfitti. Subito dopo le elezioni dello scorso agosto, infatti, sono piovute denunce di voto truccato. Innanzitutto dallo sfidante di Karzai, il tagiko Abdullah Abdullah, che ha parlato di «brogli massicci» e di «irregolarità del voto organizzate dagli uomini del presidente [Karzai]». Il principale sfidante del presidente uscente ha denunciato in particolare «decine e decine di brogli anche clamorosi» e «percentuali di affluenza nel Sud totalmente truccate, in maniera da far risultare più voti a Karzai». Che i voti non siano stati tanti, è un dato di fatto: alle urne si sono recati circa sei milioni e mezzo di afghani, su una popolazione di quasi 32 milioni di individui. Le elezioni democratiche, quindi, prim'ancora che essere "truccate" sono state boicottate dagli stessi afghani, e questo è un segnale. Poi sono iniziate le guerre di cifre: prima un 70% a Karzai, poi un 56,6% e infine un 49,7%. Un dibattito che certo non ha aiutato a sconfiggere il muro di "diffidenza" afghana verso un modello voluto dagli altri (le forze straniere) e per molti visto come imposto. E adesso visto come inefficace. Alla fine Karzai ha accettato di andare al ballottaggio: un modo, questo, per evitare critiche, scongiurare un clima di ulteriore tensione interna, e per garantirsi le simpatie degli occidentali. Ma Abdullah, a una settimana dal secondo e decisivo turno, annuncia il suo ritiro. «Un'elezione trasparente non è possibile», accusa e denuncia l'ex ministro degli esteri, che parla di «una decisione difficile» da prendere ma per la quale ha optato per «protestare contro il cattivo comportamento del governo e della Commissione elettorale indipendente». Ballottaggio inutile a questo punto, con un Karzai che si vede regalare una vittoria ma soprattutto recapitare una bella patata bollente. La mossa di Abdullah non aiuta a creare le condizioni per una riconciliazione nazionale, e c'è da scommettere che sarà motivo di ulteriori tensioni interne. Di certo getta nuove ombre su quel modello che tanto volevano importare le forze internazionali - Stati Uniti in testa - nel paese asiatico. Insomma, dall'Afghanistan arrivano sonore lezioni. Di democrazia. All'Onu, esperti in materia di fallimenti diplomatici, se ne sono accorti. «L'Afghanistan- ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon- deve ora affrontare una sfida significativa, e il nuovo presidente deve procedere velocemente a formare un governo che sia in grado di sostenere sia gli afghani che la comunità internazionale». Il sospetto è che gli afghani non vogliano essere sostenuti da questo governo. Ma del resto è comprensibile: non è facile accettare un sistema che non funziona... (fonte fote: blogosfere)
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