Cosa è successo nei vent'anni successivi alla riunificazione della Germania
di Ian Buruma (dal Corriere della sera del 10 novembre 2009)
Vent’anni fa, quando il Muro di Berlino veniva fatto a pezzi e l’impero sovietico traballava sull’orlo del precipizio, solo i più accaniti sostenitori dell’utopia sinceramente affranti. Certo, c’era ancora chi restava aggrappato alla possibilità di quello che un tempo veniva definito il «socialismo reale». Altri criticavano il trionfalismo del «nuovo ordine internazionale» promesso da George Bush padre. E il modo in cui la Germania dell’Ovest si precipitò a impossessarsi di quel relitto che era il suo vicino dell’Est parve quasi un gesto di crudeltà. Eppure, il 1989 fu un anno fantastico (tranne che in Cina, dove le aspirazioni democratiche venivano soffocate nel sangue). Molti di noi già intuivano gli albori di una nuova era liberale che avrebbe visto diffondersi libertà e giustizia in tutto il mondo, come una cascata di fiori. Vent’anni dopo, sappiamo che le cose non sono andate così. Un populismo xenofobo assedia oggi le democrazie europee. I partiti socialdemocratici battono in ritirata, mentre a destra i demagoghi promettono di salvaguardare i «valori occidentali» dalle orde islamiche. I disastri economici degli ultimi anni sembrano confermare il monito che Mikhail Gorbaciov ha lanciato nel ventesimo anniversario del 1989: «Anche il capitalismo occidentale, ormai privato del vecchio nemico e immaginandosi vincitore indiscusso e incarnazione del progresso globale, rischia di condurre la società occidentale verso l’ennesimo vicolo cieco della storia». Dalla prospettiva odierna, si direbbe che i liberali, nel senso americano e «progressista» del termine, potrebbero risultare i perdenti del 1989. Se tra socialdemocratici e comunisti il disprezzo era reciproco, ciò non toglie che molti principi socialdemocratici, radicati negli ideali marxisti di giustizia ed eguaglianza sociale, sono stati purtroppo gettati via, come il proverbiale bambino, assieme all’acqua sporca del comunismo. Tutto aveva preso avvio con l’esaltazione del libero mercato nell’era Thatcher-Reagan.
La società, nella celebre dichiarazione di Margaret Thatcher, non esiste. Solo gli individui contano, e le famiglie. Era il concetto di ciascuno per sé. Per molti, il proclama prometteva la liberazione, tanto dai mercati soffocati da un’infinità di normative, quanto dalla prepotenza dei sindacati e dai privilegi di classe. Per questo era stato l’ispirazione del neo-liberismo. Ma l’esasperazione del libero mercato ha scalzato il ruolo dello Stato nella costruzione di una società migliore, più giusta e più equa. Mentre i neo-liberali avanzavano baldanzosi sfrondando e abbattendo le vecchie strutture dei socialdemocratici, la sinistra sprecava le sue energie discettando di politiche culturali, di «identità» e di multiculturalismo ideologico. L’idealismo democratico era un tempo dominio della sinistra, e abbracciava sia i socialdemocratici che i liberali. Negli Stati Uniti, erano i democratici, come John Kennedy, a sostenere la causa della libertà nel mondo. Ma sul finire del ventesimo secolo è parso ben più importante alla sinistra salvare la cultura del «Terzo Mondo» dal «neocolonialismo» — per quanto fuori luogo — anziché promuovere uguaglianza e democrazia. Gli esponenti della sinistra erano pronti a difendere dittature brutali (Castro, Mao, Pol Pot, Khomeini e altri ancora) semplicemente perché antagonisti dell’«imperialismo occidentale». Risultato: tutta la politica scaturita dal marxismo — anche quella di lontana ispirazione — ha perso ogni credibilità e si è spenta definitivamente nel 1989. Ovviamente, è stato un disastro per comunisti e socialisti, ma anche per i socialdemocratici, perché questi hanno visto venir meno la base ideologica del loro idealismo. E senza ideali, la politica si riduce a una forma di burocrazia, una gestione di interessi puramente materiali. Eppure, la retorica dell’idealismo non è svanita del tutto. Si è semplicemente spostata da sinistra a destra. Anche questo movimento ha preso le sue mosse da Reagan e dalla Thatcher, che adottarono lo slancio kennediano della diffusione della democrazia nel mondo intero. E una volta che il linguaggio dell’internazionalismo — rivoluzione democratica, liberazione nazionale e via dicendo — è stato abbandonato dalla sinistra, i neo-conservatori sono prontamente accorsi a raccoglierlo. Il loro sostegno alla forza militare americana come testa d’ariete della democrazia sarà stato un tentativo maldestro, rozzo, arrogante, ignorante, ingenuo e profondamente pericoloso, ma nessuno può negare che non sia nato da una spinta idealistica. Il fascino dello slancio rivoluzionario ha attirato alcuni vecchi esponenti della sinistra sul versante neo-conservatore. La maggior parte dei liberali, tuttavia, si è allarmata davanti ai neocon, senza però trovare una risposta coerente. Perso ogni entusiasmo per l’internazionalismo, la reazione comune dei liberali al radicalismo dei neocon è stata quella di lanciare un appello al «realismo», alla non ingerenza negli affari altrui, al ritiro dal mondo. In molti casi, questa si è rivelata davvero la rotta più saggia da seguire, ancorché assai poco stimolante. Non sorprende pertanto che un internazionalista di sinistra, come il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, abbia trovato rifugio per il suo idealismo nel governo conservatore di Nicolas Sarkozy.
Per la prima volta dall’epoca di Kennedy, gli Stati Uniti sono una delle poche democrazie liberali al mondo guidate da un governo di centrosinistra. Sarà in grado il presidente Obama di spianare la strada verso una nuova era di idealismo sociale e politico? Ne dubito. Obama non è un socialista, né un semplice burocrate. Possiede ideali modesti, ma nonostante tutto potrebbe rivelarsi un presidente eccellente. Ciò che serve alla rinascita dell’idealismo liberale, tuttavia, è un insieme di nuovi ideali su come promuovere giustizia, uguaglianza e libertà nel mondo. Reagan, Thatcher e Gorbaciov hanno assistito al tramonto di un’ideologia che in passato aveva dato speranza e ispirato reali progressi, ma che sfortunatamente aveva provocato anche schiavitù e massacri. E noi restiamo in attesa di una nuova visione per guidarci sulla strada del progresso, che finalmente sia — ci auguriamo — libero da ogni tirannia.
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