A vent'anni dalla caduta del muro parla Ingo Schuze, scrittore tedesco vissuto all'est e passato a Berlino. Ovest.
Testi raccolti da Nicola Sessa. Riadattamento di Emiliano Biaggio
«Fino a dieci anni fa bisognava risolvere solo la questione geografica. Adesso c'è anche un altro muro da tirare giù: quello tra ricchi e poveri». Ingo Schulze, da sempre scrive e racconta. E adesso descrive e narra il modo in cui la Germania celebra il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Un muro - dal 1961 in poi - più volte definito "della vergogna", ma che una volta rimosso non ha saputo aprire la strada all'unificazione nazionale. «Sono in molti, quelli dell'est,a credere che non si possa parlare di Wiedervereinigung, di riunificazione», sostiene Schulze. «Che cosa vuol dire riunificazione? Mescolanza, scambio tra le due parti». Ma dopo il crollo del muro, lamenta, «non c'è stato nulla di tutto questo, anzi. Le differenze si sono rimarcate». Chi meglio di lui - nato e cresciuto nell'allora Germania est per poi trasferirsi, nel 1990, a Berlino - può cogliere gli spetti di una Germania ancora divisa - forse anche più di prima - in due? «Prima della caduta del muro, tedeschi eravamo noi e tedeschi erano anche quelli della Germania federale». Ma poi «si è cominciata a fare una distinzione tra i due popoli, quando noi ci siamo accorti di essere diversi e abbiamo iniziato a riferirci a noi stessi come Ossi, tedeschi dell'est». Un ovest ricco e industrializzato, che non saputo investire in un est più arretrato che oggi deve fare i conti con la disoccupazione e migrazioni coatte dei tedeschi orientali, soprattutto giovani. A distanza di vent'anni da quel 9 novembre 1989, esistono ancora due Germanie. Ma non sono più quelle del socialismo e del capitalismo, sono quelle del benessere e del malessere. Nuove divisioni da rimuovere «E' una sfida molto difficile da vincere, perchè la distanza rischia di diventare incolmabile», avverte lo scrittore tedesco. Ingo Schulze non può non mettere in risalto la differenza tra passato e presente, e i paragoni diventano automatici e inevitabili. «Il sistema socialista aveva molti pregi: il sistema sanitario, l'educazione, i trasporti - che per il 70% si sviluppavano su rotaia. E il diritto al lavoro era qualcosa di concreto, ew non un'astrazioner come lo è oggi nel sistema occidentale». Sistema occidentale che, paradossalemte, «dopo il 1990 ha subito un brusco arresto nello sviluppo, e in nome della competitività le politiche sociali sono state sacrficate sull'altare del capitale. Non fraintendentemi. Non sto dicendo che la Ddr fosse il sistema perfetto. Quel sistema si basava su una dittaura liberticida e nessuno vuole tornare indietro». Insomma, «non ritengo una grave perdita lo sgretolamento del blocco orientale, ma è quanto meno criticabile la scelta dell'Occidente di voler cancellare tutto quello che fosse della Ddr, anche le cose buone». E' chiaro che le attese del pluripremiato scrittore tedesco sono state disattese, come quelle di milioni di Ossi, forse contenti solo in parte di essersi ricongiunti con il resto del Paese. «Non esiste uguaglianza se non c'è giustizia sociale, e non c'è dignità per un uomo che non sia posto nelle condizioni di lavorare» dice Schulze. «Sai a quanto ammonta il sussidio che il governo passa ai disoccupati? Quattro euro e venticinque centesimi al giorno. Possiamo dire che queste sono persone libere?»
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