Saturday, 7 November 2009

Libertà, Strasburgo ci mette una croce sopra

L'e-dittoreale

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo dice "no" ai crocefissi nelle aule delle scuole, perchè costituisce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni». Una pronuncia che ha scatenato reazioni e polemiche. Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelimini, ha richiamato le radici cristiane del nostro Paese, la Chiesa (e ci mancherebbe) si è espressa contro questa sentenza. Sia il ministro che la Chiesa hanno ragione a far sentire la propria voce: il Cristianesimo - e con esso i suoi simboli, crocifisso compreso - ci appartiene. Ci piaccia o no. Tuttavia l'Italia, pur nella sua storia e nella tradizione cristiana, almento sulla carta è e resta uno stato laico. Questo lascia intendere che crocifissi nei luoghi pubblici non dovrebbero esserci. Ma la Corte di Strasburgo non dice questo, dice che c'è una violazione di libertà. Niente di più sbagliato. Essere liberi significa sapere andare oltre le diversità: si può rimanere tranquillamente non cristiano davanti a una chiesa e davanti a un crocifisso. La Corte europea dei diritti dell'uomo non tutela diritti, viceversa con la sua sentenza alimenta l'intolleranza, nemica dell'integrazione. Perchè se un crocifisso lede la libertà di religione, allora un bandiera afghana sventolante in Italia può finire per offendere la libertà di non essere islamici e di non essere orientali. Allo stesso modo, un emigrato di colore può finire per offendere chi di colore non è. Ancora, allo stadio magliette e sciarpe diverse da quelle dei tifosi della squadra di casa può finire per ledere la libertà di tifare per chi tifa la squdra di casa. La violenza negli stadi, in Italia, la conosciamo bene: per essere liberi di incitare la propria squadra si è arrivati a chiudere le porte in faccia ai tifosi della squadra avversaria. Ma questa, o è autoghettizzazione o è discriminazione. Di certo non è nè essere liberi nè rendere liberi.
L'organismo di Strasburgo rischia quindi di far passare un principio pericoloso, quando invece dovrebbe dire un'altra cosa: le libertà si violano quando si mettono in discussione i tratti caratterizzanti di un popolo e di una cultura, qualunque sia. Per integrazione e rispetto reciproco, occorre che da una parte ci sia il riconoscimento della minoranza, dall'altra che la minoranza non tenti di imporsi. Per cui se un non cristiano si trova in Italia noi dobbiamo aspettarci- e accettare- che questi non vada in Chiesa, mentre l'altro dovrebbe sapere- e a sua volta accettare- che per quanto laico l'Italia resta un Paese di crocifissi. Il mondo globale impone una dialettica e una politica dell'incontro, non dello scontro. Strasburgo alimenta invece odi che non fanno bene a nessuno, e che rischiano di far nascere un fanatismo cattolico di cui non abbiamo bisogno. Perchè il fanatismo religioso plasma talebani e pasdaran, che noi fortunatamente non abbiamo. La nostra storia già deve fare i conti con crociati e inquisitori (per ogni reclamo rivolgersi alla Santa Sede!), mentre il nostro presente deve fare i conti con omofobia e una legge sull'immigrazione dal retrogusto (e forse anche dal gusto) discriminatorio (per non dire razzista). La corte europea, dunque, sbaglia. Sbaglia per le motivazioni con cui spiega la propria decisione: se si proibiscono i simboli di un popolo per timore nei confronti delle reazioni dell'altro, non si sancisce un vittoria di diritti, ma una vittoria della paura e la sconfitta della libertà stessa. Si ci si offende per come non si è rispetto agli altri, o peggio, per come gli altri non sanno essere come noi, vuol dire che siamo prossimi a uno scontro frontale. Lunedì ricorre l'anniversario della caduta del muro di Berlino: l'alternativa al modello socialista dovrebbe non solo celebrare la fine di un regime liberticida, dovrebbe anche dimostrare di aver costruito un'alternativa migliore e più credibile. Ma il 'villaggio globale', di globale rischio solo un grande fallimento.

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