Neri Parenti messo sullo stesso piano di Griffith, Fellini e Lynch. Col beneplacito tutto "made in Italy" del mercato e della non-cultura.
di Emiliano Biaggio
Cinema d'essai, in lingua anglosassone "art cinema", filone artistico che produce pellicole non commericiali e film d'autore, frutto della produzione indipendente e per un pubblico ristretto. L'esatto contrario, insomma, per dei film per il grande pubblico: queste utlime pellicole puntano infatti sulla quantità e sul record d'incassi ai botteghini, mentre il cinema d'essai guarda alla qualità del prodotto. Questo, almeno, in Italia era vero fino ieri. I parametri definiti dall'allora ministro alla Cultura Giuliano Urbani (II governo Berlusconi), fanno di pellicole quali Natale a Beverly Hills film d'essai. Una contraddizione in termini, e - se la concezione di cinema d'essai resta valida - una vera e propria negazione del film d'autore. La morte del film di qualità, per intenderci. Un negazionismo storico, perchè se adesso si considera d'essai un film "di massa" e di bassa qualità, allora si rimettono in discussione interpreti del cinema e della storia del cinema quali Griffith (The birth of a nation e Intolerance), Eisenstein (battleship Potemkin e Alexander Nevskij). Ma d'essai è anche il cinema di Toshiro Mifune, Michelangelo Antognoni e Stanley Kubrick: film di un certo tipo per spettatori di un certo livello, insomma. Ben altra cosa, quindi, rispetto alla tipologia di spettatore cui si rivolge Natale a Beverly hills. Ora, va detto che negli Stati Uniti il termine è stato usato dapprima per definire tutti i film stranieri, in particolar modo i "B-movie" di Italia e Francia, quindi - a partire dagli anni Settanta - quelli europei sessualmente espliciti. Da questo punto di vista, allora, nessun problema: i cinepanettoni sono "di serie B" e sessualmente espliciti, per cui dal punto di vista più strettamente hollywodiano - e quindi più cinematografico - tutto torna. Resta tuttavia un dubbio: anche se - a detta di qualcuno - si possono fregiare del titolo di "d'essai", possono essere chiamati film? In fin dei conti, i criteri Urbani non premiano la qualità del prodotto, quanto la sua 'domanda' e la casa di produzione che genera business. Anche stavolta, insomma, vince la logica del capitale e l'arte - quand'anche ci sia - resta solo un mero valore aggiunto decorativo. Ne consegue che sul grande schermo italiano passano innanzitutto prodotti da vendere: sì, nel nostro paese il cinema è morto. Il 25 dicembre ricorre l'anniversario della morte di Chaplin: quale occasione migliore per riscoprire l'arte?
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