Facendo pressioni - per le quali è indagato - il premier opera censure non degne di uno stato democratico
l'e-dittoreale
Un capo di governo che telefona di persona per chiedere la sospensione di determinati programmi televisivi, quelli a lui poco graditi. Accade in Italia, dove Silvio Berlusconi a quanto pare ha chiesto di fermare Annozero. A chi? A Giancarlo Innocenzi, presidente dell’Agcom, l’Autorità garante nelle comunicazioni. E poi, anche al direttore generale della Rai, Mauro Masi. Il premier è inchiodato da intercettazioni telefoniche rientranti in un inchiesta condotta dalla Procura di Trani, che sta indagando sul premier per concussione. Il presidente del consiglio si dice «scandalizzato» per quelle che ritiene «palesi violazioni» dei giudici. Ditemi chi frequenti e ti dirò chi sei: nessun riferimento alle escort, ma basta pensare a quelli che sono i grandi amici del Cavaliere sullo scacchiere internazionale per capire che tipo è il nostro premier scandalizzato. Putin, Lukashenko e Gheddaffi: questi gli amici del capo del governo. Tutti soggetti non proprio paladini della democrazia e non certo passati agli onori della cronaca per governo illuminato. Ecco allora che Berlusconi impara ad essere oligarca e colonnello, ad attaccare tutto arreca disturbo. E a ricorrere a qualsiasi cosa pur di fare in modo che il re non venga disturbato. Lo ha sempre fatto con magistratura e stampa critica, e non ha perso l'occasione di rifarlo, con l’arroganza che è propria del potere, con i talk-show. In un paese democratico l’opinione pubblica sarebbe indignata e la farebbe pagare come i francesi con Sarkozy, che non hanno perdonato all’inquilino dell’Eliseo di voler piazzare il figlio all’Epad, l’ente pubblico che gestisce la Defense, il quartiere parigino degli affari. Ma in Italia a indignarsi per primi sono loro, quelli che tutto tentano in barba alle regole e che sanno compiacersi in pubblico di averle aggirate o di denunciare chi non ha permesso loro di farlo. In un’ Europa dotata di personalità e spessore politica, saremmo già stati richiamati all’ordine per i continui attacchi a diritti e messe in discussione dell’ordine democratico. Ma si dà il caso che l’Unione europea è soggetto economico-finanziario e che in Italia, come sempre avviene, chi dovrebbe controllare dovrebbe essere controllato. Così l’Agicom finisce con l’essere organo composto da membri scelti dalla politica tra personaggi della politica, in un’ottica in cui l’Authority dovrebbe essere indipendente ma non lo è. Che dire della commissione di vigilanza Rai o del cda della stessa azienda? La lunga mano del regime si estende sull’informazione: ma attenzione, poiché se il regime è di democrazia, allora questa mano saprà essere tesa verso una stretta amichevole; ma se viceversa il regime non è di democrazia o di democrazia alla deriva allora la mano saprà stringere l’informazione in una morsa fino a strangolarla. Questo, giornalisti col senso della professione e con la coscienza a posto, dovrebbero saperlo molto bene e schierarsi di conseguenza dalla parte dell’informazione, che prim’ancora di essere un servizio è diritto per la collettività. Questo dovrebbero fare, piuttosto che avallare con altrettanta arroganza e non minore colpevolezza, certe inaccettabili violazioni di libertà costituzionalmente riconosciute. Bene fa l’opposizione a denunciare l’accaduto, con un Bersani tra il caustico e il sarcastico che si rivolge al diretto interessato: «Suggerirei al capo del governo che se vuole cambiare programma in tv non usi il telefono ma il telecomando». Per il segretario del Pd, «con tutte le questioni aperte e i problemi che abbiamo, non è una bella immagine per il nostro Paese immaginare il presidente del Consiglio che sta sempre al telefono per dei programmi televisivi». Peccato che la realtà a volte, superi l’immaginazione. E la realtà è quella che è sotto gli occhi di tutti e che Berlusconi, tra una sua rilettura e un provvedimento ad hoc cerca di stravolgere.
(Poi editoriale per la puntata del 19 marzo 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
l'e-dittoreale
Un capo di governo che telefona di persona per chiedere la sospensione di determinati programmi televisivi, quelli a lui poco graditi. Accade in Italia, dove Silvio Berlusconi a quanto pare ha chiesto di fermare Annozero. A chi? A Giancarlo Innocenzi, presidente dell’Agcom, l’Autorità garante nelle comunicazioni. E poi, anche al direttore generale della Rai, Mauro Masi. Il premier è inchiodato da intercettazioni telefoniche rientranti in un inchiesta condotta dalla Procura di Trani, che sta indagando sul premier per concussione. Il presidente del consiglio si dice «scandalizzato» per quelle che ritiene «palesi violazioni» dei giudici. Ditemi chi frequenti e ti dirò chi sei: nessun riferimento alle escort, ma basta pensare a quelli che sono i grandi amici del Cavaliere sullo scacchiere internazionale per capire che tipo è il nostro premier scandalizzato. Putin, Lukashenko e Gheddaffi: questi gli amici del capo del governo. Tutti soggetti non proprio paladini della democrazia e non certo passati agli onori della cronaca per governo illuminato. Ecco allora che Berlusconi impara ad essere oligarca e colonnello, ad attaccare tutto arreca disturbo. E a ricorrere a qualsiasi cosa pur di fare in modo che il re non venga disturbato. Lo ha sempre fatto con magistratura e stampa critica, e non ha perso l'occasione di rifarlo, con l’arroganza che è propria del potere, con i talk-show. In un paese democratico l’opinione pubblica sarebbe indignata e la farebbe pagare come i francesi con Sarkozy, che non hanno perdonato all’inquilino dell’Eliseo di voler piazzare il figlio all’Epad, l’ente pubblico che gestisce la Defense, il quartiere parigino degli affari. Ma in Italia a indignarsi per primi sono loro, quelli che tutto tentano in barba alle regole e che sanno compiacersi in pubblico di averle aggirate o di denunciare chi non ha permesso loro di farlo. In un’ Europa dotata di personalità e spessore politica, saremmo già stati richiamati all’ordine per i continui attacchi a diritti e messe in discussione dell’ordine democratico. Ma si dà il caso che l’Unione europea è soggetto economico-finanziario e che in Italia, come sempre avviene, chi dovrebbe controllare dovrebbe essere controllato. Così l’Agicom finisce con l’essere organo composto da membri scelti dalla politica tra personaggi della politica, in un’ottica in cui l’Authority dovrebbe essere indipendente ma non lo è. Che dire della commissione di vigilanza Rai o del cda della stessa azienda? La lunga mano del regime si estende sull’informazione: ma attenzione, poiché se il regime è di democrazia, allora questa mano saprà essere tesa verso una stretta amichevole; ma se viceversa il regime non è di democrazia o di democrazia alla deriva allora la mano saprà stringere l’informazione in una morsa fino a strangolarla. Questo, giornalisti col senso della professione e con la coscienza a posto, dovrebbero saperlo molto bene e schierarsi di conseguenza dalla parte dell’informazione, che prim’ancora di essere un servizio è diritto per la collettività. Questo dovrebbero fare, piuttosto che avallare con altrettanta arroganza e non minore colpevolezza, certe inaccettabili violazioni di libertà costituzionalmente riconosciute. Bene fa l’opposizione a denunciare l’accaduto, con un Bersani tra il caustico e il sarcastico che si rivolge al diretto interessato: «Suggerirei al capo del governo che se vuole cambiare programma in tv non usi il telefono ma il telecomando». Per il segretario del Pd, «con tutte le questioni aperte e i problemi che abbiamo, non è una bella immagine per il nostro Paese immaginare il presidente del Consiglio che sta sempre al telefono per dei programmi televisivi». Peccato che la realtà a volte, superi l’immaginazione. E la realtà è quella che è sotto gli occhi di tutti e che Berlusconi, tra una sua rilettura e un provvedimento ad hoc cerca di stravolgere.
(Poi editoriale per la puntata del 19 marzo 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
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