Nove morti per un blitz ritenuto giusto e legittimo, in nome del popolo eletto. Che in virtù del proprio autoriconosciuto status viola le leggi, mettendo in crisi diplomazia e sistema di regole.
l'e-dittoreale*
Attaccare in acqua internazionali imbarcazioni di attivisti, provocando la morte di una decina di loro. E poi portare i superstiti nel proprio stato e nei propri centri di detenzione per poi firmare decreti d'espulsione con il caloroso invito a non farsi più vedere nei paraggi. Tutto ineccepibile e giusto, perchè esprimere dissenso contro Israele non è permesso, avvicinarsi allo stato ebraico nemmeno. Un tabù, proprio come la messa in discussione dell'operato israeliano, che se compiuto equivarrebbe all'automatico antisemitismo. E così le Tzahal possono attaccare navi battenti bandiera turca, sparare su parte dell'equipaggio e arrestare tutti gli altri solo perchè era loro intenzione portare aiuti umanitari ai palestinesi a gaza, dove il blocco decretato dalle autorità israeliane costringe a condizioni dure - se non estreme - un milione e mezzo di palestinesi. Ma solidarizzare con gli arabi vuol dire sposare tesi negazioniste e posizioni antisemite; contestare le decisioni di Israele vuol dire razzismo e nazionalsocialismo. Così, mentre nella comunità internazionale montano reazioni e contestazioni, Israele - con il governo, le forze armate, il leader di Kadima Tzipi Livni, difende la legittimità e la doverosità dell'intervento. L'Onu, con il segretario generale Ban Ki-moon, si dice indignata; in Germania si dicono invece scioccati dall'accaduto; l'Italia chiede chiarimenti; gli Stati Uniti annullano visite ufficiali. Alla fine, a distanza di giorni, l'Onu condanna, ma non prende provvedimenti. Male. E' giunto il momento di scegliere, scegliere se infrangere o meno i tabù, decidere se i tabù vengano prima dei valori e delle regole. Il tabù è Israele, il valore la legalità. Se gli atti di Israele continuano a passare tra l'inazione di quanti potrebbero prendere provvedimenti, si creano i presupposti perchè tutti si facciano beffe delle regole: come fare a dire all'Iran di rinunciare al proprio programma nucleare se Israele non firma la risoluzione che vuole un Medio Oriente libero da atomiche? Come si fa a dire alla giunta militare birmana di rispettare i diritti umani quando Israele mette a dura prova la sopravvivenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza e fa puntualmente quello che vuole? Ma Israele, fanno sapere da Tel Aviv, non fa quello che vuole, ma ciò che deve: difendersi. Sparare su membri degli equipaggi, in questo caso, era diventato inevitabile poichè alcuni di essi avevano spranghe e coltelli: poco rispetto alle dotazioni israeliane. Ma da quelle parti la storia di Davide e Golia la conoscono bene, e sanno che basta poco per liberarsi del nemico. Intanto Israele perde l'unico interlocutore nella regione, rischia di favorire l'estremismo islamico turco e vede crescere l'odio dell'intero mondo arabo e musulmano. Forse se Israele scendesse dal suo piedistallo e per una volta mettesse da parte la storia del popolo eletto accettando le giuste conseguenze del proprio operato, farebbe un grande favore a sè stesso e all'intera comunità internazionale. Altrimenti finisce per legittimare i vari Ahmadinejad e minare i valori - oggi precari - su cui si è faticosamente lavorato per costruire l'ordine mondiale. Anni fa un sondaggio dell'Ue ha mostrato come per molti Israele sia un paese destabilizzante: oggi i fatti danno ragione a quanti, da tempo, preferiscono la legalità ai dogmi dell'ebraicità.
(poi editoriale per la puntata del 4 giugno 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
l'e-dittoreale*
Attaccare in acqua internazionali imbarcazioni di attivisti, provocando la morte di una decina di loro. E poi portare i superstiti nel proprio stato e nei propri centri di detenzione per poi firmare decreti d'espulsione con il caloroso invito a non farsi più vedere nei paraggi. Tutto ineccepibile e giusto, perchè esprimere dissenso contro Israele non è permesso, avvicinarsi allo stato ebraico nemmeno. Un tabù, proprio come la messa in discussione dell'operato israeliano, che se compiuto equivarrebbe all'automatico antisemitismo. E così le Tzahal possono attaccare navi battenti bandiera turca, sparare su parte dell'equipaggio e arrestare tutti gli altri solo perchè era loro intenzione portare aiuti umanitari ai palestinesi a gaza, dove il blocco decretato dalle autorità israeliane costringe a condizioni dure - se non estreme - un milione e mezzo di palestinesi. Ma solidarizzare con gli arabi vuol dire sposare tesi negazioniste e posizioni antisemite; contestare le decisioni di Israele vuol dire razzismo e nazionalsocialismo. Così, mentre nella comunità internazionale montano reazioni e contestazioni, Israele - con il governo, le forze armate, il leader di Kadima Tzipi Livni, difende la legittimità e la doverosità dell'intervento. L'Onu, con il segretario generale Ban Ki-moon, si dice indignata; in Germania si dicono invece scioccati dall'accaduto; l'Italia chiede chiarimenti; gli Stati Uniti annullano visite ufficiali. Alla fine, a distanza di giorni, l'Onu condanna, ma non prende provvedimenti. Male. E' giunto il momento di scegliere, scegliere se infrangere o meno i tabù, decidere se i tabù vengano prima dei valori e delle regole. Il tabù è Israele, il valore la legalità. Se gli atti di Israele continuano a passare tra l'inazione di quanti potrebbero prendere provvedimenti, si creano i presupposti perchè tutti si facciano beffe delle regole: come fare a dire all'Iran di rinunciare al proprio programma nucleare se Israele non firma la risoluzione che vuole un Medio Oriente libero da atomiche? Come si fa a dire alla giunta militare birmana di rispettare i diritti umani quando Israele mette a dura prova la sopravvivenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza e fa puntualmente quello che vuole? Ma Israele, fanno sapere da Tel Aviv, non fa quello che vuole, ma ciò che deve: difendersi. Sparare su membri degli equipaggi, in questo caso, era diventato inevitabile poichè alcuni di essi avevano spranghe e coltelli: poco rispetto alle dotazioni israeliane. Ma da quelle parti la storia di Davide e Golia la conoscono bene, e sanno che basta poco per liberarsi del nemico. Intanto Israele perde l'unico interlocutore nella regione, rischia di favorire l'estremismo islamico turco e vede crescere l'odio dell'intero mondo arabo e musulmano. Forse se Israele scendesse dal suo piedistallo e per una volta mettesse da parte la storia del popolo eletto accettando le giuste conseguenze del proprio operato, farebbe un grande favore a sè stesso e all'intera comunità internazionale. Altrimenti finisce per legittimare i vari Ahmadinejad e minare i valori - oggi precari - su cui si è faticosamente lavorato per costruire l'ordine mondiale. Anni fa un sondaggio dell'Ue ha mostrato come per molti Israele sia un paese destabilizzante: oggi i fatti danno ragione a quanti, da tempo, preferiscono la legalità ai dogmi dell'ebraicità.
(poi editoriale per la puntata del 4 giugno 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
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