L’omicidio impunito della giornalista russa Anna Politkovskaja e tutto ciò che cela e rivela tra le righe.
di Carlo Gubitosa (per peacelink)
«Anna è stata uccisa a causa del suo lavoro. Non vedo altre motivazioni possibili per questo efferato delitto». Così diceva Vitaly Yaroshevsky, vice-direttore della Novaya Gazeta, subito dopo l’omicidio a sangue freddo di Anna Politkovskaja con cinque colpi di pistola alla testa e al petto. Uccisa nell’ascensore di casa sua il 7 ottobre 2006 a Mosca, Anna è la giornalista che, nei suoi libri e sulle pagine della Novaya, ha descritto meglio di chiunque altro la violenza della guerra in Cecenia e il rapporto di questa violenza con gli interessi di Vladimir Putin e del suo regime di oligarchi.
Di fronte ai mille interrogativi di questa esecuzione, la giustizia russa non è riuscita a fornire risposte, e il 19 febbraio scorso l’attività di due anni e quattro mesi di indagini, quattro mesi di processo e tre ore di camera di consiglio si è conclusa con un nulla di fatto. I 12 giurati della corte militare di Mosca, presieduta dal giudice Yevgeny Zubov, hanno assolto per insufficienza di prove con verdetto unanime i quattro imputati del processo.
Si tratta dell’ex dirigente della polizia moscovita Serghei Khadzhikurbanov, accusato di essere l’organizzatore del delitto per conto di un mandante non precisato; dei fratelli ceceni Dzhabrail e Ibragim Makhmudov, che secondo l’accusa avrebbero seguito e pedinato la giornalista; dell’ex colonnello dei servizi segreti Pavel Riaguzov, che ha dovuto rispondere assieme a Khadzhkurbanov dell’accusa di abuso d’ufficio ed estorsione per aver fornito al gruppo ceceno l’indirizzo della giornalista. Tutti assolti. (leggi tutto)
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