Il Viminale difende la polizia italiana, ma nei nostri stadi entra di tutto. Con la responsabilità dello Stato.
di Emiliano Biaggio
Spranghe, coltelli, fumogeni, assalto agli autobus dei giocatori e vetri infranti: ecco Italia-Serbia, partita che non passerà certo agli onori della cronaca. Intanto perché mai giocata, e poi perché non disputata per disordini e incidenti ad opera del tifo violento e politicizzato di Serbia, per quello che alla fine si configura come uno dei risultati forse meno lusinghieri dell’intreccio – mai spezzato – tra calcio e politica. Nelle gradinate dello stadio Luigi Ferraris di Genova tifosi serbi danno alle fiamme la bandiera albanese, per un chiaro riferimento alla questione del Kosovo; sotto, un manipolo di calciatori della rappresentativa serba mostra ai propri “tifosi” le tre dita simbolo del nazionalismo ultra-ortodosso della grande Serbia. Niente sport, insomma. Solo un palcoscenico dove mettere in scena il peggio dell’essere umani e riproporre problematiche balcaniche mai risolte. Alla fine il presidente della Serbia, Boris Tadic, ha dovuto chiamare il presidente del Consiglio di casa nostra per esprimere dispiacere per gli incidenti causati dagli ultras nazionalisti, che hanno impedito il regolare svolgimento della sfida. Insomma. Da contrasti sportivi a incidente diplomatico, per quello che ormai è un caso. Con accuse che si rincorrono e si susseguono. Per i rappresentanti del governo di Belgrado è colpa nostra. Lo dice senza mezzi termini l'ambasciatrice serba in Italia, Sanda Raskovic-Ivic: «La polizia italiana avrebbe dovuto perquisire meglio all'ingresso dello stadio». Replica il portavoce dell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive del Viminale Roberto Massucci: «Le informazioni provenienti dalla Serbia non avevano delineato alcun profilo di rischio per la tifoseria serba». Ci sono state, quindi, «smagliature nel sistema informativo» tra Belgrado e Roma circa la presenza delle frange più estreme del tifo violento serbo. Nuove accuse all’Italia, stavolta arrivano da Ivica Dacic, ministro dell'Interno e vicepremier serbo, secondo il quale i preparativi per la partita di Genova non stati fatti bene, e che l'intervento della polizia italiana avrebbe potuto essere molto più efficace. Tradotto, critica il ministro serbo, non si doveva permettere l'ingresso allo stadio a tifosi in possesso di oggetti vari. Risponde per le rime il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «Non ho nessuna censura da muovere a chi ha gestito l'ordine pubblico», afferma. «Anzi- aggiunge- è stata evitata una strage, poteva essere un Heysel 2». Il direttore generale della Figc, Antonello Valentini, si dice fiducioso perché, sostiene, «insieme alla polizia italiana abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare». Poche storie, taglia corto l’Uefa. «Anche l’Italia è responsabile». Già, perché di chi è compito fare le perquisizioni all’ingresso? Chi è che deve assicurare l’ordine e la sicurezza? Quelle stesse forze dell’ordine difese a spada tratta dal ministro Maroni. Quelle forze dell’ordine, dai prefetti agli agenti, capaci di reprimere in occasione dei G8 e del tutto incapaci di agire quando si tratta di permettere a famiglie con bambini di guardare una partita di calcio. Lo dice anche Fabio Capello, uno che di calcio e di stadi ne sa qualcosa: a suo giudizio «le tristi immagini di Italia-Serbia parlano da sole ed è grave che queste cose accadano ancora». Già, ancora. 28 ottobre 1979: Vincenzo Paparelli muore durante un Roma-Lazio per colpa di un razzo nautico per segnalazioni luminose sparato dalla Curva sud e che attraversò tutto il campo di gioco da un lato all'altro finendo proprio nell'occhio della vittima. Come era entrato quel razzo? 2 ottobre 1984: il tifoso milanista Marco Fonghessi muore accoltellato al termine di Milan-Cremonese. Ancora: 29 gennaio 1995: il tifoso genoano Vincenzo Spagnolo viene accoltellato da un tifoso milanista Simone Barbaglia fuori dallo stadio Ferraris prima di Genoa – Milan. 17 giugno 2001: durante lo spareggio promozione per accedere in serie B fra Messina e Catania dalla curva catanese parte una bomba carta che uccide Antonino Currò. Il problema Italia-Serbia, allora, arriva da lontano. Non da Belgrado con Ivan il terribile, ma da chi in Italia, da sempre, sa usare le forze di polizia solo per reprimere e malmenare e non per la pubblica incolumità. L’Italia è colpevole, diciamolo. Ma si sa: lo stato, e chi in divisa lo rappresenta, non pagano mai.
(editoriale per la trasmissione del 17 ottobre 2010 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
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