Mentre il Partito democratico continua nella sua corsa al centro, nelle primarie di Milano vince il candidato vendoliano sostenuto da Pdci e Rifondazione. E nel partito è crisi.
l'e-dittoreale
Il Pd fa cadere il Pd. A Milano le primarie premiano Giuliano Pisapia, candidato sostenuto da Vendola, Pdci e Rifondazione, a scapito di Stefano Boeri, uomo di partito e sostenuto dai vertici del Pd. Come in Puglia, insomma, la storia si ripete: l'uomo indicato dalla segreteria nazionale esce sconfitto. Pisapia prende infatti il 45,4% delle preferenze, mentre Boeri si ferma al 40,2%. Una sconfitta cocente sia perchè boccia la linea di partito, sia perchè politicamente mostra come il popolo del Pd guardi - a differenza dei quadri dello stesso partito - a sinistra. La linea moderata tendente al centro non viene premiata, e anzi gli elettori per sfidare il sindaco di Milano Letizia Moratti preferiscono una figura più di sinistra. Ecco perchè dal Pd milanese arriva l'annuncio di dimissioni: il gruppo dirigente del Partito democratico di Milano si è preso una settimana di tempo per decidere sul da farsi, rimettendo temporaneamente il mandato. Le dichiarazioni ufficiali sono chiare: «(Il gruppo dirigente) ha rimesso il mandato per una riflessione a 360 gradi. Ci sarà una discussione che coinvolgerà le varie assemblee a livello regionale, provinciale e cittadino, quindi si prenderà una decisione nell'arco di una settimana». Si apre dunque una crisi interna al Pd, e guai a pensare che sia limitata alla sola sfera locale. Già lo scorso gennaio Vendola sbaragliò sempre alla primarie il candidato a governatore nominato dai vertici del Pd: allora la vittima politica fu Francesco Boccia, uomo di D'Alema in terra di D'Alema. Adesso gli elettori, ancora una volta, preferiscono personaggi che ricoprono aree che possono piacere o meno ma che almeno sono chiare e ben identificate, al contrario di un Pd che fatica a trovare una propria identità. Gli elettori danno un consiglio, e forse anche più di un consiglio, quanto un indirizzo ben preciso: guardate a sinistra anzichè rincorrere il centro. Questo soprattutto dopo che il finiano Adolfo Urso ha fatto sapere che se si andasse alle elezioni anticipate Fli andrebbe «certamente con Casini, con il Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo, con Alleanza per l'Italia di Rutelli». Nessun riferimento a quell'ipotetica convergenza che invece da più tempo si ipotizzava e si riteneva possibile nel quartier generale del Partito democratico, vale a dire una inedita alleanza con Udc e Fli. Smentita seccamente Rosy Bindi, presidente del Pd, che non più tardi di ieri aveva assicurato che «gli elettori democratici capirebbero», dato che «un'alleanza con Fini e Casini sarebbe in nome della Costituzione». Non a caso i vertici milanesi del Pd si dimettono: non è che non sappiano accettare l'esito di quelle elezioni primarie che tanto infiammano i democratici, quanto perchè capiscono che il progetto Pd ormai è ufficialmente fallito. Enrico Letta non lo dice, pur riconoscendo che «il risultato delle primarie a Milano apre interrogativi che non possono essere superficialmente elusi», dato che «disegna scenari sui quali sarà bene riflettere in profondità prima che sia troppo tardi». L'impressione è che però sia già troppo tardi.
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Il Pd fa cadere il Pd. A Milano le primarie premiano Giuliano Pisapia, candidato sostenuto da Vendola, Pdci e Rifondazione, a scapito di Stefano Boeri, uomo di partito e sostenuto dai vertici del Pd. Come in Puglia, insomma, la storia si ripete: l'uomo indicato dalla segreteria nazionale esce sconfitto. Pisapia prende infatti il 45,4% delle preferenze, mentre Boeri si ferma al 40,2%. Una sconfitta cocente sia perchè boccia la linea di partito, sia perchè politicamente mostra come il popolo del Pd guardi - a differenza dei quadri dello stesso partito - a sinistra. La linea moderata tendente al centro non viene premiata, e anzi gli elettori per sfidare il sindaco di Milano Letizia Moratti preferiscono una figura più di sinistra. Ecco perchè dal Pd milanese arriva l'annuncio di dimissioni: il gruppo dirigente del Partito democratico di Milano si è preso una settimana di tempo per decidere sul da farsi, rimettendo temporaneamente il mandato. Le dichiarazioni ufficiali sono chiare: «(Il gruppo dirigente) ha rimesso il mandato per una riflessione a 360 gradi. Ci sarà una discussione che coinvolgerà le varie assemblee a livello regionale, provinciale e cittadino, quindi si prenderà una decisione nell'arco di una settimana». Si apre dunque una crisi interna al Pd, e guai a pensare che sia limitata alla sola sfera locale. Già lo scorso gennaio Vendola sbaragliò sempre alla primarie il candidato a governatore nominato dai vertici del Pd: allora la vittima politica fu Francesco Boccia, uomo di D'Alema in terra di D'Alema. Adesso gli elettori, ancora una volta, preferiscono personaggi che ricoprono aree che possono piacere o meno ma che almeno sono chiare e ben identificate, al contrario di un Pd che fatica a trovare una propria identità. Gli elettori danno un consiglio, e forse anche più di un consiglio, quanto un indirizzo ben preciso: guardate a sinistra anzichè rincorrere il centro. Questo soprattutto dopo che il finiano Adolfo Urso ha fatto sapere che se si andasse alle elezioni anticipate Fli andrebbe «certamente con Casini, con il Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo, con Alleanza per l'Italia di Rutelli». Nessun riferimento a quell'ipotetica convergenza che invece da più tempo si ipotizzava e si riteneva possibile nel quartier generale del Partito democratico, vale a dire una inedita alleanza con Udc e Fli. Smentita seccamente Rosy Bindi, presidente del Pd, che non più tardi di ieri aveva assicurato che «gli elettori democratici capirebbero», dato che «un'alleanza con Fini e Casini sarebbe in nome della Costituzione». Non a caso i vertici milanesi del Pd si dimettono: non è che non sappiano accettare l'esito di quelle elezioni primarie che tanto infiammano i democratici, quanto perchè capiscono che il progetto Pd ormai è ufficialmente fallito. Enrico Letta non lo dice, pur riconoscendo che «il risultato delle primarie a Milano apre interrogativi che non possono essere superficialmente elusi», dato che «disegna scenari sui quali sarà bene riflettere in profondità prima che sia troppo tardi». L'impressione è che però sia già troppo tardi.
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