Il presidente della Repubblica l'ha incaricato di formare un nuovo governo, dopo che a-Sadr e i curdi hanno garantito l'appoggio al primo ministro uscente
di Emiliano Biaggio
Otto mesi dopo le elezioni democratiche l'Iraq si avvia ad avere un nuovo governo. A seguito del riconteggio delle schede elettorali il presidente della Repubblica, il curdo Jalal Talabani, ha dato mandato a Nuri al-Maliki, premier uscente, di costituire un nuovo esecutivo. La situazione, quindi, sembra conoscere l'uscita dalla stallo in cui la vita politica irachena si trovava da troppo tempo per un paese che deve rinascere ed essere ricostruito. Il 7 marzo scorso dalla urne era uscito un paese diviso in due, con il partito di Iyad Allawi (Iraqiya) che aveva 91 seggi, e quello di Nuri Al-Maliki (Stato di diritto) che ne aveva racimolati 89. Numeri che di fatto avevano consegnato il paese all'ingovernabilità per l'impossibilità di formare esecutivi autonomi e creare maggioranze parlamentari compatte. Adesso però al-Maliki ottiene l'appoggio del Movimento sadrista di Muqtada al-Sadr, Fadhila, che gli garantisce 40 seggi in Parlamento. Ma al-Maliki ha ottenuto il sostegno anche dei partiti curdi (il Pdk di Barzani e l'Upk di Talabani), dimostrando di avere l'appoggio di tutti i principali attori politici - e confessionali - del paese e quindi una maggioranza ampia che dia all'Iraq quella stabilità che tutti chiedevano. Questo il motivo che ha indotto Talabani a dare ad al-Maliki via libera alla formazione di un nuovo esecutivo. Adesso il nuovo premier designato ha trenta giorni di tempo per scegliere i ministri e dare corpo alla squadra di governo. Sconfitto, dunque, Iyad Allawi, che andrà all'opposizione ma che alla luce degli ultimi eventi ha fatto sapere che voterà la fiducia ai ministri. Da sottolineare il sostegno dei curdi: questo sventa il pericolo - paventato in questi mesi - della formazione di un unico grande blocco sciita, che avrebbe potuto generare una situazione delicata per i rapporti di forza con le altre componenti irachene (sunniti e curdi) considerato anche che il 97% degli iracheni sono musulmani e di questo tra il 60% e il 65% sposta la dottrina sciita. Insomma, la composizione attuale dovrebbe garantire equilibrio politico e sociale, ma il condizionale è d'obbligo in quanto quello iracheno resta comunque un paese ricco di incognite.
di Emiliano Biaggio
Otto mesi dopo le elezioni democratiche l'Iraq si avvia ad avere un nuovo governo. A seguito del riconteggio delle schede elettorali il presidente della Repubblica, il curdo Jalal Talabani, ha dato mandato a Nuri al-Maliki, premier uscente, di costituire un nuovo esecutivo. La situazione, quindi, sembra conoscere l'uscita dalla stallo in cui la vita politica irachena si trovava da troppo tempo per un paese che deve rinascere ed essere ricostruito. Il 7 marzo scorso dalla urne era uscito un paese diviso in due, con il partito di Iyad Allawi (Iraqiya) che aveva 91 seggi, e quello di Nuri Al-Maliki (Stato di diritto) che ne aveva racimolati 89. Numeri che di fatto avevano consegnato il paese all'ingovernabilità per l'impossibilità di formare esecutivi autonomi e creare maggioranze parlamentari compatte. Adesso però al-Maliki ottiene l'appoggio del Movimento sadrista di Muqtada al-Sadr, Fadhila, che gli garantisce 40 seggi in Parlamento. Ma al-Maliki ha ottenuto il sostegno anche dei partiti curdi (il Pdk di Barzani e l'Upk di Talabani), dimostrando di avere l'appoggio di tutti i principali attori politici - e confessionali - del paese e quindi una maggioranza ampia che dia all'Iraq quella stabilità che tutti chiedevano. Questo il motivo che ha indotto Talabani a dare ad al-Maliki via libera alla formazione di un nuovo esecutivo. Adesso il nuovo premier designato ha trenta giorni di tempo per scegliere i ministri e dare corpo alla squadra di governo. Sconfitto, dunque, Iyad Allawi, che andrà all'opposizione ma che alla luce degli ultimi eventi ha fatto sapere che voterà la fiducia ai ministri. Da sottolineare il sostegno dei curdi: questo sventa il pericolo - paventato in questi mesi - della formazione di un unico grande blocco sciita, che avrebbe potuto generare una situazione delicata per i rapporti di forza con le altre componenti irachene (sunniti e curdi) considerato anche che il 97% degli iracheni sono musulmani e di questo tra il 60% e il 65% sposta la dottrina sciita. Insomma, la composizione attuale dovrebbe garantire equilibrio politico e sociale, ma il condizionale è d'obbligo in quanto quello iracheno resta comunque un paese ricco di incognite.
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