Nelle elezioni di Medio termine una sconfitta senza precedenti. Anche grazie al forte astensionismo i repubblicani conquistano la Camera dei Rappresentanti, e adesso Obama dovrà rivedere la sua politica.
di Emiliano Biaggio
Si dissolve il sogno obamiano. Negli Stati Uniti le elezioni di medio termine premiano i repubblicani e assestano un duro colpo ai democratici, che perdono la Camera dei Rappresentanti e patiscono la sconfitta più ampia dal secondo dopoguerra. Alla camera bassa del Congresso, il partito degli elefanti conquista 238 seggi, contro i 182 dei democratici. Restano da assegnare 15 seggi, ma anche se li conquistasse tutti il partito degli asinelli, lo scarto sarabbe comunque di 41 seggi: 238 a 197, 58 in meno della precedente consultazione. I democratici perdono anche l'Illinois, stato trampolino di lancio dell'attuale presidente, a sancire la rinascita repubblicana e la debacle democratica. Democratici che possono comunque tirare un sospiro di sollievo: il controllo della Camera alta è ancora in mano loro. Al Senato, dove si votava per il rinnovo di un terzo dei seggi, i democratici si assestano a quota 51, i repubblicani a 46, mentre 3 seggi ancora non sono stati assegnati. Insomma, maggioranza, anche se risicata. Ma ciò serve a poco, perchè da adesso in poi Barack Obama e i suoi dovranno fare i conti con i repubblicani. E' lo stesso inquilino della Casa Bianca ad averlo detto a staff e partito: «La nostra agenda dipenderà da queste elezioni». E le elezioni di Midterm chiudono ufficialmente la prima fase del governo Obama per inaugurarne una seconda, assai più delicata. John Boehner, prossimo presidente della Camera dei Rappresentanti, avverte: «Gli americani hanno fatto sentire la loro voce. Bisogna cambiare corso». Parole non confortanti per i democratici e lo stesso Obama, che ha riconosciuto la sconfitta e teso una mano ai rivali: il presidente degli Stati Uniti ha chiesto infatti di «lavorare con i repubblicani per trovare un campo d'azione comune, andare avanti nel lavoro e realizzare quello che il popolo americano si aspetta». Ma da Obama gli americani sono delusi: queste elezioni si sono trasformate in un referendum sul presidente, che lui ha perso. Paga il non aver saputo risolvere i problemi dell'economia, il non aver saputo risolvere il problema dell'aumento della disoccupazione, l'aver promesso una nuova stagione in salsa "verde" salvo poi annunciare il finanziamento del nucleare; criticato per una riforma sanitaria che in molti non hanno capito, attaccato per il sostegno statale alle imprese che costa al contribuente e non rilancia i consumi, Obama paga scelte contestate e l'assenza di incisività: giudicato troppo statalista dai repubblicani e ritenuto troppo timido dai democratici, ha promesso di mettere mano al sistema finanziario, ma c'è riuscito. Il cambiamento annunciato, in sostanza, non c'è stato. E non ci sarà. I repubblicani vogliono cancellare la riforma sanitaria, hanno altre idee di politica estera - e quindi di missioni in Iraq e Afghanistan - hanno un'altra concezione dell'economia. Adesso la strada si fa in salita per Obama, e quello slogan che tanto fece la fortuna dell'allora senatore dell'Illinois, oscilla ormai tra ricordi lontani e sogni infranti. Si poteva fare, non è stato fatto. Difficile si farà adesso, anche perchè gli americani hanno voltato le spalle al loro presidente: è stata infatti alto l'astensionismo. L'elettorato, decisivo per le presidenziali, non se l'è sentita di rinnovare fiducia al potere wasghingtoniano: è il sipario che cala sul grande sogno americano degli ultimi anni? Di certo sembra che sogno sia destinato a restare.
(poi editoriale della puntata del 5 novembre di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
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