Il presidente cinese in visita a Washington detta le regole per i buoni rapporti tra i due paesi. Cavalcando la favorevole congiuntura politico-economica e condannando le due regioni autonome.
di Emiliano Biaggio
«Gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan». Avverte e minaccia Hu Jintao, presidente cinese in visita a Waghinton, dove arriva per la prima volta nella storia cinese da leader di un paese forte e sempre più determinante negli equilibri mondiali. Hu Jintao sa di godere di una posizione predominante sull'America in affanno e in recessione, e può permettersi di dettare le regole e di farlo a casa dell'avversario. La Cina sa quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno di rapporti amichevoli, e Pechino ne approfitta: non create problemi. Hu Jintao lo dice in modo diplomatico, salvo poi alzare il tiro e cambiare tono: le relazioni Usa-Cina «hanno raggiunto un'ampiezza e una profondità senza precedenti», ma in futuro questo rapporto richiederà che «ciascuno tratti l'altro con rispetto, su un piede di eguaglianza». Quindi, «gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan», territori cinesi al centro di continue denunce di violazioni di diritti umani. La Cina non vuole ingerenze negli affari interni, da sempre. E oggi più che mai, visto che oggi più che mai può permetterselo, viste le pressanti richieste della Casa Bianca per una fluttuazione dello Yuan, la moneta cinese che crea difficoltà agli scambi internazionali sul mercato. «Non è quello il problema», taglia corto Hu Jintao. «Alla radice degli squilibri commerciali sta il fatto che noi siamo più produttivi di voi». La Cina è consapevole del momento e delle situazioni: l'ordine mondiale di ieri non è più quello di oggi. Resta da capire quale sarà l'ordine di domani. Ma in Tibet come in Taiwan sembra già segnato.
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