Sunday, 2 October 2011

L'Unione che non c'è e il ritorno al passato

l'analisi di Emiliano Biaggio

La Grecia riceverà altri aiuti da Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea ed Unione europea. In cambio il governo di Atene procederà al taglio di 30.000 dipendenti pubblici. La stampa internazionale dà risalto all'accordo ritenendolo un buon risultato, una vittoria e un motivo di soddisfazione. Qui si pone però un quesito che molti sembrano non essersi - forse volutamente - posti: possono tagli del 20% sulle pensioni sopra i 1.200 euro e 30 mila statali in mobilità entro la fine dell'anno essere considerati una cosa positiva? Per l'elite di banchieri e la ristretta oligarchia che ha potere e ancor più privilegi otterrà da simili misure sì, per chi dovrà essere sacrificato ovviamente no. Il quesito è però un altro: Conviene all'Ue? Decisamente no. L'Unione europea è ormai vista da tutti più come un peso (come non ricordare la bocciatura della costituzione Ue di Paesi Bassi e Irlanda), in molti mettono in discussione l'Euro e le misure imposte dagli istituti di credito dimostrano come i governi nazionali ormai subiscano il processo di integrazione. O disintegrazione. Gli stati sono svuotati di autonomia decisionali e sono con la corda attorno alla gola in attesa di essere stritolati dalle condizioni che sistematicamente vengono imposte in nome di questo modello Euro che benefici non ne sta producendo e in nome di questo modello capitalista che uccide lo Stato in nome delle privatizzazioni. Risultato? La crisi delle democrazie. Mai come oggi la democrazia in generale è alle strette, provata da un sistema economico che di fatto toglie al popolo per dare a una nuova aristocrazia. Nobiltà, clero e terzo stato: questi gli ordini in voga in Europa nel XVIII secolo. Oggi siamo forse in una condizione tanto diversa? Clero e nobiltà insieme rappresentano la minoranza dell'intera popolazione, godono di privilegi (non pagano le tasse o le evadono, ma comunque non versano all'Erario, proprio come nel 1700), contro una maggioranza eterogenea di persone che rappresentano il resto dello strato sociale, oberato e schiacciato dai più potenti e più prepotenti. Le conquiste sociali di secoli sono state spazzate vie da pochi turbolenti decenni che hanno visto la frammentazione (o forse sarebbe più appropriato definirla disgregazione) di società (con le sue convenzioni e i suoi valori) e istituzioni (con le loro regole e meccanismi). Con il conseguente risultato di un generale e diffuso ritorno di pulsioni autoritarie. Il caso ungherese ne è un caso esemplare. Ma l'ascesa dell'estrema destra austriaca, il radicalismo turco e la voglia ovunque di stati forti testimonia che la democrazia è ormai a un bivio. Molti sostengono che il fallimento dell'Euro sarebbe un problema; restare nell'Euro, in questa presunta Europa che esaspera le differenze e le sofferenze, è forse una soluzione? No. Presto o tardi la situazione esploderà, ma non saranno certo i potenti banchieri e le signorie di sempre a farne le spese. L'Unione europea ha fallito, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. La globalizzazione ha prodotto la paura nel resto del mondo, e la rincorsa ai vecchi localismi e alle barriere doganali. Il tanto decantato progresso, come neanche nelle migliori sceneggiature chapliniane, ha prodotto solo giganteschi passi indietro. Oggi pochi signori tornano a condannare a morte 30.000 famiglie, a segnare la vita di migliaia di persone, con la naturalezza e la noncuranza propria di chi lavora per tessere le maglie di una società che deve produrre sempre più incolmabili differenze. Scrivere come fa Alessandro Alviani su La Stampa che «la Grecia può tirare il fiato» vuol dire nella migliore delle ipotesi non capire la gravità dell'affermazione e nella peggiore rendersi conto di un gioco al massacro che non risparmierà nessuno, tra i più deboli. Questa Europa non ha senso e non ha nulla di buono. E ce ne accorgiamo ogni giorno di più. Le democrazie sono in pericolo, le Nazioni Unite raccolgono la triste eredità della Società delle Nazioni, incapaci come sono di gestire le crisi e di far valare le ragioni dei soggetti meno importanti. La crisi non è allora solo economica. Visto che nessuno sembra ricordarsi come si risolse la situazione pre-rivoluzione francese, sarebbe opportuno ricordare come si risolse - per così dire - la situazione di crisi politico economica degli anni '30 del XX secolo: con una guerra mondiale. Forse non ce ne sarà bisogno, ma possiamo permetterci di ignorare un fatto così rilevante?

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