Numeri da capogiro per la Tar, regione sempre più importante da un punto di vista economico. A cui Pechino non rinuncerà.
di Emiliano Biaggio
Una volta il Tibet fu terra di contemplazione, pace e armonia, oggi ciò che resta del cuore del Tibet è terra di business. La trasformazione imposta dalla Cina ha fatta della Regione autonoma tibetana (Tar) una delle regioni più floride del Paese. Nel 2011, il volume di import-export per il la sola Tar ha raggiunto gli 1,36 miliardi di dollari, con un incremento del 62,5% rispetto all'anno precedente. Si tratta di un nuovo record, fanno sapere orgogliose le autorità tibetane. Il grosso di questo business di deve al miracolo cinese in Tibet: la realizzazione delle infrastrutture (ferrovie, strade, aeroporti) ha permesso il costante aumento delle relazioni commerciali tra la Tar e i paesi confinanti, in particolare India, Nepal e Myanmar.
Nella Cina del capitalismo comunista, la Tar è diventata la gallina dalle uova d'oro a cui Pechino non solo non intende rinunciare ma addirittura intende dare ancor più un indirizzo di partito. Il destino della causa tibetana è sempre più irrimediabilmente segnato: con l'economia che cresce, la Cina non rinuncerà certo ai profitti tibetani. E gli uomini d'affari tanto meno. Il grosso del business tibetano è infatti privato: il commercio con l'estero è cresciuto di circa il 280% nei primi otto mesi del 2011, toccanto quota 1,7 miliardi di dollari. Una volta il Tibet fu terra di contemplazione, pace e armonia. Una volta.
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