L'Aula del Senato. foto: repubblica.it |
La legge che doveva salvare dal carcere Alessandro Sallusti, e rischia di inguaiare in suo nome tutta la libera stampa, comincia a diventare un affare imbarazzante. I primi firmatari sono i senatori Vannino Chiti e Maurizio Gasparri: doveva essere un impegno bipartisan, quello di eliminare la possibilità del carcere come pena per la diffamazione. Oggi, però, quella legge Chiti non la riconosce più. E Pd e Udc si dicono pronti a frenare qualsiasi strisciante tentativo di censura.
"Se verrà fuori un pasticcio sono pronto a togliere la mia firma", dice Chiti. Il senatore pd spiega che il suo primo obiettivo era eliminare il carcere. E che aveva poi previsto, per ragioni motivate, un obbligo di rettifica da parte del giornale con lo stesso spazio e lo stesso rilievo della notizia. Questo però doveva servire a bloccare il procedimento penale. Sulle pene, si era pensato a un massimo di 50mila euro. E per il web, il tutto avrebbe dovuto riguardare solo i giornali online, non i singoli blog.
Nelle mani della commissione giustizia, "a forte maggioranza di centrodestra", le cose sono cambiate. "Si rischia di fare una legge puramente sanzionatoria. Se è così meglio fermarsi, limitarsi a eliminare il carcere, e lasciare che sia un Parlamento più sereno a occuparsi del resto". Chiti non fa parte della commissione Giustizia, dove invece la vicenda è seguita da vicino dall'ex pm Felice Casson. Suo uno degli emendamenti che prevede che il giornalista "recidivo" nella diffamazione sia interdetto per un periodo da uno a tre anni.
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