Esce l'album del cantautore, l'ultimo della carriera. «Ho sempre pensato che il mio ultimo disco si sarebbe chiamato così».
di Emiliano Biaggio
Eccolo Guccini, finalmente. Alla fine il tanto atteso album è arrivato, per la gioia e la malinconia di quanti hanno avuto il piacere di conoscerlo musicalmente e accompagnarlo nella sua vita di accordi e suoni. Un Guccini diverso, e non solo perchè l'ultimo. «Ho sempre pensato che il mio ultimo disco si sarebbe chiamato così», aveva già anticipato un anno fa. Ora ci siamo. "L'ultima Thule" è il lavoro con cui l'artista emiliano-pavanese saluta folle e pubblico, in un congedo tanto naturale quanto umano. A settantadue anni suonati, è il caso di dire, Guccini canta la sua stanchezza e il suo smarrimento per un mondo che non sa più riconoscere. «Dov'è la ciurma che mi accompagnava e assecondava ogni ribalderia? Dove la forza che la circondava? Ora si è spenta ormai, sparita via». Anche per i più coraggiosi e tenaci Don Chisciotte il tempo passa, e l'eroe non può che cedere al peso degli anni. Così Guccini canta di sè dalla sua Pavana, dove da tempo vive stabilmente al ripardo da tutto. «E qui da solo penso al mio passato, vado a ritroso e frugo la mia vita, una saga smarrita ed infinita di quel che ho fatto, di quello che è stato». Si tracciano i bilanci di una carriera e di una vita, in un disco dai toni amari ma dai ritmi ora melodici ("canzone di notte n°4", "Notti", "L'ultima volta", "Quel giorno d'aprile"), ora malinconici ("Gli artisti"), ora incalzanti ("L'ulima thule"), ora allegri e burleschi ("Il testamento del pagliaccio"). «Non ho mai scritto canzoni allegre, ma questa volta ce l'ho messa tutta», ha detto Guccini prima dell'uscita del disco. Ma i suoi personaggi, anche quelli all'apparenza più divertenti portano con sè, come spesso accade, il canto dei mali del vivere. Il suo pagliaccio «l'ha finita la pagliacciata che chiamava vita», e «muore intossicato da sogni vani di democrazia», ucciso dalle «promesse non risolte». Eppure il suo pagliaccio, tolto il trucco, con il suo addio mette in scena il funerale di un'Italia al cui corteo funebre - chiuso dall'inno di Mameli - partecipano non solo «sei politici servi e un cardinale», ma anche ciò ha contraddistino l'ultimo scorcio di storia nazionale: «uno stilista mago del sublime, un vip con la troietta di regime e chi si svende per denari trenta; un onesto mafioso riciclato, un duro, puro e cuore di nostalgico, travestito da quasi democratico e che si sente padrone dello Stato». Uno stato patrimonio forse violato che Guccini, sepolto il pagliaccio, celebra in tutta la sua grandezza ricordando "quel giorno d'aprile" in cui «l'Italia cantando ormai libera allaga le strade sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce», dopo aver pianto "su in collina" i tanti fratelli uccisi da una guerra mai finita nella memoria, nelle ferite, nei dolorosi ricordi. Eccolo l'ultimo Guccini, meno combattivo ma pur sempre identico a sè stesso nei contenuti e nelle riflessioni anche dopo quarantacinque anni di musica. E dopo tanti anni, eccolo di nuovo a celebrare quelle "notti" che se una volta, nella giovinezza, erano semplicemente ritratti di vita, oggi sono appena delle «boccate di vita», null'altro che «vasi di tempo che invecchiano l'uomo». A distanza di anni le notti restano però sempre esperienze «da cani randagi» da «viverle fino alla fine», anche se in modo diverso, come descritto nella l'ultima canzone di notte della serie - la quarta - che «racconta questo eterno vagabondo» che è il Guccini cantautore. O forse più semplicemente il Guccini uomo, perchè "gli artisti" «non nascono artisti, non sembrano strani animali ma nascono un po' come tutti, come individui normali». E da persona comune, Guccini si congeda. «Io semplice essere umano, costretto a costretti ideali, sono solo un umìle artigiano e volo con piccole ali». Eccolo Guccini, finalmente. O forse no. Perchè il saluto è forse il momento più difficile, e allora "L'ultima Thune" va preso per quello che è il suo valore primo, prima ancora del suo valore ultimo: è l'album con cui Guccini si ritira. I tempi lo impongono, del resto. E' forse l'ora di percorrere l'ultimo viaggio musicale, ma poi basta, perchè in questo mondo - Thule è il nome di un'isola leggerandaria, al di là del mondo conosciuto - per Guccini non c'è più posto. «Io che tornavo fiero ad ogni porto dopo una lotta, dopo un arrembaggio, non son più quello e non ho più il coraggio di veleggiare su un vascello morto». Guccini dice addio, va via, alla ricerca dell'isola non trovata e già cantata, ora suonata per l'ultima volta. «L'Ultima Thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un'ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo».
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