Con "Surviving life" il regista ceco si cimenta con l'interpretazione dei sogni, in un film mai visionario come questa volta.
di Emiliano Biaggio
La vita e il sogno, l'inconscio e il sub-conscio, l'incontro e lo sdoppiamento tra l'io cosciente della vita ad occhi aperti e l'io inconscio del mondo onirico. I traumi rimossi e la loro riscoperta, il male di vivere e la ricerca della felicità altrove. Jan Švankmajer porta sul grande schermo un film che porta lo spettatore a compiere un viaggio nei meandri remoti e inconsci della propria psiche, in un'opera fortemente svankmeriana omaggio a quanti hanno permesso di decriptare meccanismi e funzionamenti psicologici: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. C'è molto delle loro teorie psicoanalitiche in "Surviving life", ultimo lungometraggio del regista ceco, il primo realizzato senza l'aiuto della moglie, scomparsa nel 2005. A quasi ottant'anni Švankmajer non smette di produrre nè di stupire, e anzi continua a farsi apprezzare sempre più a livello internazionale. Proiettato fuori concorso al 67esimo festivale del cinema di Venezia, "Surviving life" dopo tre anni continua ad essere nei cartelloni dei cinema di tutta Europa. Švankmajer traspone e sviluppa su celluloide la definizione di "surrealismo" che André Breton offre nel suo manifesto del 1924. "Surrealismo, s.m. Automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza d'ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale". Come opera la mente, quando le barriere della ragione vengono meno? Come decifrare simboli, immagini, associazioni di idee? E come interagisce tutto questo con la realtà (o dovremme dire, più opportunamente, con il lato cosciente del proprio io)? Švankmajer risponde a queste domande con un film impegnativo, introspettivo, a tratti visionario come solo lui sa essere ma senza risparmiare momenti di ironia (da sottolineare i simpatici siparietti tra Freud e Jung nel corso delle sedute psicoanalitiche del protagonista), ricorrendo alla "cut-out animation", la tecnica d'animazione che mette insieme ritagli e foto in un vero e proprio collage animato in passo uno, la tecnica di stop-motion tanta cara al registra ceco. In una dimensione che mai come questa volta offre a Švankmajer l'opportunità di creare immagini, Švankmajer dà il meglio di sè. A livello espressivo e artistico "Surviving life" è un grande contenitore di immagini che generano altre immagini, in un ciclo continuo di invenzioni e trovate. Dal punto di vista di plot, la storia - un uomo che conduce una doppia vita in sogno, dove incontra la giovane Eugenia con cui va a convivere - mette lo spettatore di fronte al dramma dell'individuo, tormentato dalle visioni frutto dei traumi che riemergono, all'imprevedibilità dell'anima, e del dilemma legato al superamento dei traumi esistenziali. Da qui il titolo ("Surviving life", o se preferite, "Sopravvivere alla propria vita"), ad indicare quella che sarà poi la vera sfida del protagonista: scegliere tra la vita reale o la vita del sogno.
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