Il capo dello stato dovrebbe concederla a chi rimette in discussione la magistratura, di cui Napolitano è capo. Richiederla così è chiedere al Colle una mozione di sfiducia all'organismo che presiede.
l'e-dittoreale
Il presidente della Repubblica sotto ricatto. A tanto è arrivato Silvio Berlusconi, dopo la sentenza della corte di Cassazione che ha confermato la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale nel processo Mediaset. Il cavaliere ha convocato i parlamentari del Pdl, e al termine delle riunione deputati e senatori del Pdl hanno consegnato le loro dimissioni nelle mani dei capigruppo, Renato Brunetta e Renato Schifani. Loro, con le dimissioni di tutti i parlamentari del gruppo, andranno dal capo dello Stato per chiedere «che venga ripristinato lo stato di democrazia». Tradotto, per loro stessa ammissione, chiederanno che Napolitano conceda la grazia a Berlusconi. La grazia, come Costituzione vuole, può concederla solo il presidente della Repubblica, a questo punto a un bivio: o sì - e il governo sopravvive - o no - e allora il governo cade. Un ricatto bello e buono (anche se il segretario del Pd, Guglielo Epifani, preferisce parlare di «pressione indebita»), scaricando ancora una volta tutte le responsabilità dell'avvenire del paese a Napolitano, rieletto una seconda volta alla presidenza della Repubblica - un unicum nella storia repubblicana - per l'incapacità dei partiti, e quindi del Parlamento, di trovare un consenso su altri nomi. C'è di più: il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha annunciato che «i ministri del Pdl sono pronti a dimettersi dal governo» (lui stesso fa parte dell'esecutivo). Ma chiedere la grazia a Napolitano è una forzatura, dato che a chiederla è chi definisce la magistratura - di cui Napolitano è a capo in qualità di presidente del Csm - «un soggetto irresponsabile, una variabile incontrollabile ed incontrollata». Fermo restando che in una democrazia si applica il princio della separazione dei poteri, e che il potere giurisdizionale nel rispetto di tale principio deve essere incontrollato, il presupposto su cui poggia la richiesta - pur legittimamente riconosciuta e costituzionalmente garantita - è insostenibile: la magistratura ha sbagliato. Chi chiede la grazia difende la propria causa, non denigra il potere giurisdizionale. Per cui se Napolitano dovesse concedere la grazia, la concederebbe a chi la chiede sostenendo che la condanna è infondata, rimettendo in discussione l'autorità del potere giurisdizionale dai massimi livelli. Si avrebbe una magistratura sconfessata - e quindi senza più alcuna credibilità - dal presidente della Repubblica che, essendo a capo del Consiglio della magistratura, agirebbe contro sè stesso. Napolitano non può cedere. Lo sa anche lo stesso Berlusconi che la grazia è uno scenario poco realistico, per questo ha mostrato le carte in tavola. «Dobbiamo chiedere al più presto le elezioni per vincere». Il paese rischia di tornare al voto molto presto, non prima di aver assistito all'ultimo assalto al Quirinale.
Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi |
Il presidente della Repubblica sotto ricatto. A tanto è arrivato Silvio Berlusconi, dopo la sentenza della corte di Cassazione che ha confermato la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale nel processo Mediaset. Il cavaliere ha convocato i parlamentari del Pdl, e al termine delle riunione deputati e senatori del Pdl hanno consegnato le loro dimissioni nelle mani dei capigruppo, Renato Brunetta e Renato Schifani. Loro, con le dimissioni di tutti i parlamentari del gruppo, andranno dal capo dello Stato per chiedere «che venga ripristinato lo stato di democrazia». Tradotto, per loro stessa ammissione, chiederanno che Napolitano conceda la grazia a Berlusconi. La grazia, come Costituzione vuole, può concederla solo il presidente della Repubblica, a questo punto a un bivio: o sì - e il governo sopravvive - o no - e allora il governo cade. Un ricatto bello e buono (anche se il segretario del Pd, Guglielo Epifani, preferisce parlare di «pressione indebita»), scaricando ancora una volta tutte le responsabilità dell'avvenire del paese a Napolitano, rieletto una seconda volta alla presidenza della Repubblica - un unicum nella storia repubblicana - per l'incapacità dei partiti, e quindi del Parlamento, di trovare un consenso su altri nomi. C'è di più: il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha annunciato che «i ministri del Pdl sono pronti a dimettersi dal governo» (lui stesso fa parte dell'esecutivo). Ma chiedere la grazia a Napolitano è una forzatura, dato che a chiederla è chi definisce la magistratura - di cui Napolitano è a capo in qualità di presidente del Csm - «un soggetto irresponsabile, una variabile incontrollabile ed incontrollata». Fermo restando che in una democrazia si applica il princio della separazione dei poteri, e che il potere giurisdizionale nel rispetto di tale principio deve essere incontrollato, il presupposto su cui poggia la richiesta - pur legittimamente riconosciuta e costituzionalmente garantita - è insostenibile: la magistratura ha sbagliato. Chi chiede la grazia difende la propria causa, non denigra il potere giurisdizionale. Per cui se Napolitano dovesse concedere la grazia, la concederebbe a chi la chiede sostenendo che la condanna è infondata, rimettendo in discussione l'autorità del potere giurisdizionale dai massimi livelli. Si avrebbe una magistratura sconfessata - e quindi senza più alcuna credibilità - dal presidente della Repubblica che, essendo a capo del Consiglio della magistratura, agirebbe contro sè stesso. Napolitano non può cedere. Lo sa anche lo stesso Berlusconi che la grazia è uno scenario poco realistico, per questo ha mostrato le carte in tavola. «Dobbiamo chiedere al più presto le elezioni per vincere». Il paese rischia di tornare al voto molto presto, non prima di aver assistito all'ultimo assalto al Quirinale.
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