Le economie emergenti ancora decise a non impegnarsi troppo per ridurre le emissioni. A loro si aggiunge la Germania.
di Emiliano Biaggio
Azioni contro i cambiamenti climatici? No, grazie. La conferenza delle Nazioni Unite sul clima in corso in Polonia non segna passi avanti, e le azioni contro il surriscaldamente del pianeta sono sempre più un miraggio. Colpa dei paesi in via di sviluppo, che non intendono impegnarsi a limitare le emissioni di gas a effetto serra - principalmente il biossido di carbonio, o CO2 - e colpa dei grandi paesi europei che in nome della competività e dietro l'alibi della crisi non intendono assumere impegni costosi. Il nodo sta proprio qui, nei costi. Per i paesi industrializzati convertire il sistema produttivo in modo da diminuirne l’impatto ambientale resta antieconomico. E di fronte all'avanzata delle economie emergenti, investire nella conversione del proprio sistema produttivo vorrebbe dire perdere terreno e vantaggio. A Varsavia i segnali sono dunque poco incoraggianti: da una parte restano da convicere Cina, India, Brasile, Indonesia e Vietnam, paesi che non hanno firmato il protoccolo di Kyoto (il trattato internazionale per la sostenibilità) e che non essendo obbligati a ridurre le proprie emissioni sono diventati destinazioni privilegiate per le delocalizzazioni industriali dai paesi sviluppati; dall'altra parte ci sono Germania e Giappone che stanno entrambi sostituendo i loro impianti nucleari con centrali a gas o carbone, scelta che va nella direzione opposta alla riduzione di emissioni. C'è poi la Polonia padrona di casa, paese il cui sistema industriale è alimentato dal carbone. Le premesse dunque non sono buone, e c'è il rischio di un buco nell'acqua che non gioverebbe a nessuno.
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