Il numero di attacchi e vittime continuano ad aumentare. Solo a ottobre 964 vittime, mai così tanti da aprile 2008
di Emiliano Biaggio
Il processo di transizione e di normalizzazione dell'Iraq si è interrotto, e il controllo della situazione sembra ormai sfuggito nuovamente di mano. Aumenta il numero di vittime civili frutto di attentati e violenze settarie: solo a ottobre il numero delle vittime accertate è stato di 964, numeri che non si registravano da aprile 2008 secondo le cifre dell'Iraq body count. La situazione, che proprio dal 2008 sembrava essere cambiata in meglio sotto il profilo della sicurezza (9.932 vittime rispetto alle quasi 26.700 dell'anno precedente), è tornata ad essere motivo di preoccupazione, in Iraq come altrove, soprattutto negli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama si ritrova a dover fare i conti con l'eredità lasciata dal suo predecessore George W. Bush, con l'urgenza di trovare una soluzione per la stabilizzazione del paese e della regione e una rassicurazione all'elettorato dell'impegno statunitense nella lotta al terrorismo. Dal 2008 al 2010 il numero di attacchi era diminuito, e tutto faceva presagire che il paese fosse sulla via della normalizzazione. Poi dal 2011 a oggi il numero di attentati è tornato a crescere, così come il numero delle vittime prodotte: 4.147 nel 2011, 4.574 nel 2012. E per quest'anno le stime si annunciano ancora in crescita. L'Iraq Body count conta 3.644 vittime solo nei primi cinque mesi (il censimento non è stato ancora aggiornato, ndr), a cui si aggiungono 291 vittime provvisorie di giugno e le 964 documentate a ottobre (dal governo iracheno), per un totale provvisorio di 4.809 vittime a cui si dovranno aggiungere i numeri dei caduti di luglio, agosto, settembre, novembre e dicembre. Negli Stati Uniti fanno pressione su Obama: i vertici militari rimproverano al premier iracheno Nuri Al-Maliki di aver escluso dal governo sunniti (l'etnia più popolosa) e curdi (l'etnia del nord) e di pagare questo errore politico, spingendo perchè la Casa Bianca operi tutta la pressione necessaria perchè il processo di inclusione venga rispettata. Membri del congresso federale chiedono a Obama di sconfessare Al-Maliki. Con il presidente della repubblica, il curdo Jalal Talabani - in Germania da quasi un anno per curare problemi cardiaci, il leader al comando è Al-Maliki, che chiede il sostegno internazionale. «Abbiamo il diritto di chiedere al mondo di sostenerci, perché siamo parte di esso». Se non si farà nulla per fermare quanto accade in Iraq, avverte, «in ogni Paese infettato dal virus del terrorismo questo virus si diffonderà». Quello che il premier iracheno chiede è una «guerra mondiale al terrorismo», che però - specie in questi tempi di crisi - non tutti si possono permettere di finanziare. Un vero grattacapo per Obama e l'intero scacchiere internazionale, già alle prese con la questione siriana.
di Emiliano Biaggio
Il processo di transizione e di normalizzazione dell'Iraq si è interrotto, e il controllo della situazione sembra ormai sfuggito nuovamente di mano. Aumenta il numero di vittime civili frutto di attentati e violenze settarie: solo a ottobre il numero delle vittime accertate è stato di 964, numeri che non si registravano da aprile 2008 secondo le cifre dell'Iraq body count. La situazione, che proprio dal 2008 sembrava essere cambiata in meglio sotto il profilo della sicurezza (9.932 vittime rispetto alle quasi 26.700 dell'anno precedente), è tornata ad essere motivo di preoccupazione, in Iraq come altrove, soprattutto negli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama si ritrova a dover fare i conti con l'eredità lasciata dal suo predecessore George W. Bush, con l'urgenza di trovare una soluzione per la stabilizzazione del paese e della regione e una rassicurazione all'elettorato dell'impegno statunitense nella lotta al terrorismo. Dal 2008 al 2010 il numero di attacchi era diminuito, e tutto faceva presagire che il paese fosse sulla via della normalizzazione. Poi dal 2011 a oggi il numero di attentati è tornato a crescere, così come il numero delle vittime prodotte: 4.147 nel 2011, 4.574 nel 2012. E per quest'anno le stime si annunciano ancora in crescita. L'Iraq Body count conta 3.644 vittime solo nei primi cinque mesi (il censimento non è stato ancora aggiornato, ndr), a cui si aggiungono 291 vittime provvisorie di giugno e le 964 documentate a ottobre (dal governo iracheno), per un totale provvisorio di 4.809 vittime a cui si dovranno aggiungere i numeri dei caduti di luglio, agosto, settembre, novembre e dicembre. Negli Stati Uniti fanno pressione su Obama: i vertici militari rimproverano al premier iracheno Nuri Al-Maliki di aver escluso dal governo sunniti (l'etnia più popolosa) e curdi (l'etnia del nord) e di pagare questo errore politico, spingendo perchè la Casa Bianca operi tutta la pressione necessaria perchè il processo di inclusione venga rispettata. Membri del congresso federale chiedono a Obama di sconfessare Al-Maliki. Con il presidente della repubblica, il curdo Jalal Talabani - in Germania da quasi un anno per curare problemi cardiaci, il leader al comando è Al-Maliki, che chiede il sostegno internazionale. «Abbiamo il diritto di chiedere al mondo di sostenerci, perché siamo parte di esso». Se non si farà nulla per fermare quanto accade in Iraq, avverte, «in ogni Paese infettato dal virus del terrorismo questo virus si diffonderà». Quello che il premier iracheno chiede è una «guerra mondiale al terrorismo», che però - specie in questi tempi di crisi - non tutti si possono permettere di finanziare. Un vero grattacapo per Obama e l'intero scacchiere internazionale, già alle prese con la questione siriana.
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