Wednesday, 27 May 2009

Medio Oriente, chiusura di Israele ai negoziati. Per trattare.

Obama: "Due stati". Netanyahu: "No". Le "divergenze" tra Usa e stato ebraico complicano il processo di pace nella regione. Che forse non è poi così compromesso.

di Emiliano Biaggio
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Il presidente degli Stati Uniti rilancia il piano di pace in Medio Oriente che prevede la nascita di due stati, ma Israele gela Barack Obama e il suo staff: "No a uno stato palestinese", taglia corto il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un secco rifiuto che mette in salita la missione diplomatica della nuova amministrazione Usa, decisa a voler trovare una soluzione definitiva alla questione arabo-israeliana. Non solo: il 'no' di Israele rischia a questo punto di complicare ulteriormente l'intero processo di pace, e di deteriorare ancora di più i rapporti con il mondo arabo-islamico. A livello internazionale la cosa non è sfuggita, tanto che si parla già delle divergenze tra i due Paesi. Ma niente drammi, almeno per ora. Poichè tutto è ancora da definire, e molto è ancora da decidere. Quella che si gioca è una partita a scacchi, dove i due avversari studiano e si studiano, per capire che mossa fare, che strategia elaborare, quali pedine sacrificare. Il messaggio che il primo ministro dello Stato ebraico ha voluto lanciare alla Casa bianca è che Israele non condivide la linea 'soft' della politica estera statunitense. Chiaramente a governo e membri della Knesset (il parlamento isralieno) non piace un presidente Usa che vuole dialogare con l'Iran, con chi, cioè, in più di un'occasione ha detto di voler cancellare Israele dalla carta geografica. Ma Barack Obama sa bene quanto Israele abbia bisogno degli Stati Uniti e del loro appoggio: ecco che allora si abbandona la fase di studio e si tentano le prime mosse. Israele starebbe pensando di smantellare due dozzine di insediamenti all'interno della Cisgiordania occupata, per poter proseguire nella realizzazione di colonie in altre zone, tra cui Gerusalemme est. Forse è un pò poco per l'amministrazione americana- che pure ha chiesto a Netanyahu di bloccare la costruzione di insediamenti nei territori palestinesi- ma quel che è certo è che a Tel Aviv si guarda a come Washington risponderà a questa mossa, per capire come e dove negoziare. Ma certo la situazione appare complicata: per il presidente dell'autorità palestinese Abu Mazen non esistono le condizioni per poter trattare, dato che il leader dell'Anp ha chiesto lo stop della costruzione di colonie che invece il governo israeliano intende portare avanti altrove. Netanyahu deve invece fare i conti con la destra nazionalista di Avigdor Lieberman, che non vuole fare concessioni ai rivali palestinesi. E come se non bastasse da Bruxelles le istituzioni comunitarie dell'Ue fanno sapere che "è improbabile che vengano potenziate le relazioni con Israele". Insomma, lo stato ebraico appare isolato nella sua politica di intransigenza ed è chiamato a muoversi nella tortuosità dello scenario che si propone. Per adesso si resta a guardare: ora la prossima mossa spetta a Obama.

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