Le associazioni accusano, il governo nega. E intanto nella questione legata alle terre vendute alle compagnie petrolifere interviene la Chiesa.
di Emiliano Biaggio
Si allarga la dimensione della 'questione amazzonica' in Perù: gruppi locali denunciano «abusi e violazione dei diritti umani» da parte degli agenti di polizia del governo di Lima negli scontri nella regione dell'Amazonas. E proprio al governo centrale viene chiesto di fare chiarezza. «Ci sono indizi da verificare, dobbiamo sapere la verità, ma presto o tardi i fatti che si sono verificati verranno alla luce», assicura Ernesto de la Jara, dell'Istituto per la difesa legale. Critiche anche dalla Commissione inter-americana per i diritti umani, secondo cui «la criminalizzazione della legittima mobilitazione e protesta sociale, sia attraverso la repressione diretta dei manifestanti o attraverso inchieste o processi penali, è incompatibile con una società democratica». La squadra del presidente Alan Garcia Perez respinge tutte le accuse al mittente, ma la Confederación general de trabajadores del Perú (Cgtp, il principale sindacato nazionale) getta benzina sul fuoco: «Il presidente García è il responsabile della strage», sostiene Mario Huamán, capo della Cgtp. Per cercare di smorzare i toni e disinnescare una crisi sempre più evidente, la Chiesa cattolica si offre come mediatore per favorire un dialogo tra il governo e la popolazione indigena che si oppone alla controversa legge sulle sfruttamento della terra e delle risorse naturali dell’Amazzonia: il presidente della Conferenza episcopale peruviana, Miguel Cabrejos, fa sapere di voler avviare «un dialogo autentico» tra le parti in lotta, per giungere ad una soluzione che sarebbe «importantissima». Soprattutto per gli indios.
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