Le compagnie petrolifere avanzano con il consenso del governo, che spara sugli indios. Con armi italiane.
di Emiliano Biaggio
E' ormai scontro aperto nelle regioni amazzoniche del Perù, dove da giorni si stanno dando battaglia le popolazioni indigene e le forze paramilitari del governo di Lima. Il presidente peruviano Alan Garcia Perez accusa gli indios di aver ucciso 22 agenti nel corso degli ultimi scontri, e censura la «barbarie» di quanti impediscono lo sviluppo nel Paese e, più nello specifico, nella regione dell'Amazonas. Con due diversi decreti- emanati nel 2007 e nel 2008- Garcia Perez ha dato il via libera ad un maggiore sfruttamento minerario del territorio: in particolare prevede la cessione di circa il 70% della foresta amazzonica alle compagnie petrolifere straniere Perenco (anglo-francese), PlusPetrol (argentina), Petrolifera (canadese), Repsol (spagnola) e Petrobras (brasiliana), che si sono accaparrate ampi tratti di foresta. A queste Garcia Lopez ha concesso diritti di esplorazione e trivellazione in zone che gli indios considerano sacre. Non solo: mentre per i petrolieri si configurano affari d'oro, per gli indios e le loro comunità si prefigura il pericolo reale di perdere risorse e acqua. Come se non bastasse, secondo l'Organizzazione del popolo indigeno amazzonico del Peru' i decreti violano la convenzione internazionale sul Lavoro sui diritti delle popolazioni tribali approvata nel 1989. Tutto questo ha innescato la rivolta delle popolazioni locali, decise a salvaguardare le proprie tradizioni e difendere il proprio territorio, anche con la forza. Di fronte all'intransigenza delle autorità e delle compagnie petrolifere la risposta è stata è stata la lotta armata: adesso è scontro aperto, con città blindate e sotto regime di coprifuoco: «il governo- ha spiegato il capo di gabinetto Yehude Simon- si è visto costretto ad adottare queste misura per tutti i 28 milioni di peruviani». E ormai sono giorni che gli scontri vanno avanti, con oltre 50 vittime: 22 gli agenti governativi morti, 30- secondo dati del governo- gli oppositori colpiti a morte, anche se gli indios sostengono che i morti sono «di più». E' anche guerra di cifre, quindi. Ma in mezzo alle incertezze- per il numero effettivo dei morti civili e per l'esito dello scontro- restano due certezze: la prima è che ricchezza, denaro e profitto continuano a essere considerate prioritarie rispetto ai diritti dell'individuo; la seconda è che in questo spargimento di sangue l'Italia non è esente da responsabilità: i dati del Sipri dicono che il nostro Paese è stato il principale venditore di armi all'esercito del Perù (per 172 milioni di dollari, nell'anno fiscale 2007-8).
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