di Andrea Nicastro (dal Corriere della Sera del 19 agosto 2009)
Che cosa accade in Afghanistan? Vincono i talebani obbligando la gente a non votare? Rivince (e convince) Karzai? E se invece qualcuno gridasse ai brogli? C’è la possibilità che Kabul si infiammi in un tutti contro tutti visto tante volte? E se, contro i pronostici, Karzai perdesse? Uno dei pochi ad avere la competenza per leggere nella sfera di cristallo dell'Afghanistan è Antonio Giustozzi, un «cervello» italiano fuggito all’estero. Ricercatore alla London School of Economics, 42 anni, Giustozzi è tra i più ascoltati esperti di cose afghane. I suoi saggi sono regolarmente saccheggiati dai think tank governativi per dare a politici e diplomatici le coordinate del mare afghano.
Vincono i talebani. «La leadership talebana - sostiene Giustozzi - non è direttamente entrata in gara. Le dichiarazioni, le minacce, gli attentati sono il minimo che potessero fare. Di fatto, però, hanno lasciato ampio spazio di manovra ai singoli comandanti. Questo senz’altro per un problema interno di frammentazione: ci sono i talebani vicini ad Al Qaeda ideologicamente contrari al voto e ce ne sono di più pragmatici.Ma se il gruppo di comando centrale avesse voluto chiudere i seggi nelle vaste aree sotto il suo controllo, avrebbe potuto farlo facilmente. Invece ha permesso che alcuni leader trattassero con la famiglia Karzai una tregua ben remunerata per il giorno delle elezioni. Ad altri è stato permesso di vendere pacchetti di voti. Ci sono addirittura comandanti talebani che fanno campagna per Ashraf Ghani - il candidato più filo-americano, ndr -. Per questo la bassa affluenza non dovrà essere letta come vittoria talebana. Se pochi andranno a votare sarà soprattutto per la delusione nei confronti del governo e della ricostruzione post-talebana. Non per le minacce».
Perde Karzai. «È lo scenario meno probabile. Possibile che sia costretto al ballottaggio con il tajiko Abdullah. Ma a quel punto il presidente vincerà di sicuro. Non tanto e non solo per una questione di consensi, ma perché ha in mano le leve necessarie a compiere brogli anche clamorosi. Tutti i responsabili delle commissioni elettorali sono sotto il suo controllo. Ci sono sul mercato una grande quantità di certificati elettorali, vuol dire che c’è qualcuno che li compra. In un’elezione presidenziale non ha senso accaparrarsi un centinaio di voti, bisogna manovrarne centinaia di migliaia. E Karzai ha i mezzi necessari. Già nelle presidenziali del 2004 gli osservatori neutrali avevano segnalato che in aree dove era stata registrata una partecipazione femminile del 40%, ai seggi non si era vista neppure l’ombra di una donna. Questa volta i voti femminili spostati dal capo tribù o dall’anziano di turno in cambio di denaro o favori saranno ancora più numerosi. Nelle campagne c’è stata una vera caccia alla registrazione di donne e giovani per poter disporre dei loro certificati elettorali. Non dovesse bastare tutto ciò, ci penseranno comunque i responsabili della macchina governativa truccando i numeri fino a garantire la rielezione del presidente».
Vince Karzai. «Il voto si sta polarizzando su base etnica in modo ancora più determinante che nel 2004. Per i pashtun, che sono etnia maggioritaria, Karzai è comunque il meno peggio. Per i tajiki invece questo voto è l’ultima spiaggia e si sono schierati compatti dietro al candidato Abdullah per tentare di mantenere un certo potere. Hanno ormai sperimentato la 'strategia del salame' di Karzai che taglia a fette il loro schieramento comprando o eliminando una fetta dopo l’altra. Ora è toccato al maresciallo Fahim. Poi toccherà ad altri e alle prossime elezioni non esisteranno più come gruppo. Per questo davanti a brogli evidenti o a una vittoria risicata di Karzai potrebbero reagire. Il presidente a quel punto potrebbe rinviare di un anno o due il rimescolamento dei quadri al ministero della Difesa o dell’Interno dove i tajiki sono dominanti. Rinviare, non rinunciare. Perché anche Karzai sa che la presenza internazionale è diventata una questione di anni, non è più eterna e ha bisogno di un esercito che sia obbediente a lui e non ai tajiki eredi del comandante Massud».
Che cosa accade in Afghanistan? Vincono i talebani obbligando la gente a non votare? Rivince (e convince) Karzai? E se invece qualcuno gridasse ai brogli? C’è la possibilità che Kabul si infiammi in un tutti contro tutti visto tante volte? E se, contro i pronostici, Karzai perdesse? Uno dei pochi ad avere la competenza per leggere nella sfera di cristallo dell'Afghanistan è Antonio Giustozzi, un «cervello» italiano fuggito all’estero. Ricercatore alla London School of Economics, 42 anni, Giustozzi è tra i più ascoltati esperti di cose afghane. I suoi saggi sono regolarmente saccheggiati dai think tank governativi per dare a politici e diplomatici le coordinate del mare afghano.
Vincono i talebani. «La leadership talebana - sostiene Giustozzi - non è direttamente entrata in gara. Le dichiarazioni, le minacce, gli attentati sono il minimo che potessero fare. Di fatto, però, hanno lasciato ampio spazio di manovra ai singoli comandanti. Questo senz’altro per un problema interno di frammentazione: ci sono i talebani vicini ad Al Qaeda ideologicamente contrari al voto e ce ne sono di più pragmatici.Ma se il gruppo di comando centrale avesse voluto chiudere i seggi nelle vaste aree sotto il suo controllo, avrebbe potuto farlo facilmente. Invece ha permesso che alcuni leader trattassero con la famiglia Karzai una tregua ben remunerata per il giorno delle elezioni. Ad altri è stato permesso di vendere pacchetti di voti. Ci sono addirittura comandanti talebani che fanno campagna per Ashraf Ghani - il candidato più filo-americano, ndr -. Per questo la bassa affluenza non dovrà essere letta come vittoria talebana. Se pochi andranno a votare sarà soprattutto per la delusione nei confronti del governo e della ricostruzione post-talebana. Non per le minacce».
Perde Karzai. «È lo scenario meno probabile. Possibile che sia costretto al ballottaggio con il tajiko Abdullah. Ma a quel punto il presidente vincerà di sicuro. Non tanto e non solo per una questione di consensi, ma perché ha in mano le leve necessarie a compiere brogli anche clamorosi. Tutti i responsabili delle commissioni elettorali sono sotto il suo controllo. Ci sono sul mercato una grande quantità di certificati elettorali, vuol dire che c’è qualcuno che li compra. In un’elezione presidenziale non ha senso accaparrarsi un centinaio di voti, bisogna manovrarne centinaia di migliaia. E Karzai ha i mezzi necessari. Già nelle presidenziali del 2004 gli osservatori neutrali avevano segnalato che in aree dove era stata registrata una partecipazione femminile del 40%, ai seggi non si era vista neppure l’ombra di una donna. Questa volta i voti femminili spostati dal capo tribù o dall’anziano di turno in cambio di denaro o favori saranno ancora più numerosi. Nelle campagne c’è stata una vera caccia alla registrazione di donne e giovani per poter disporre dei loro certificati elettorali. Non dovesse bastare tutto ciò, ci penseranno comunque i responsabili della macchina governativa truccando i numeri fino a garantire la rielezione del presidente».
Vince Karzai. «Il voto si sta polarizzando su base etnica in modo ancora più determinante che nel 2004. Per i pashtun, che sono etnia maggioritaria, Karzai è comunque il meno peggio. Per i tajiki invece questo voto è l’ultima spiaggia e si sono schierati compatti dietro al candidato Abdullah per tentare di mantenere un certo potere. Hanno ormai sperimentato la 'strategia del salame' di Karzai che taglia a fette il loro schieramento comprando o eliminando una fetta dopo l’altra. Ora è toccato al maresciallo Fahim. Poi toccherà ad altri e alle prossime elezioni non esisteranno più come gruppo. Per questo davanti a brogli evidenti o a una vittoria risicata di Karzai potrebbero reagire. Il presidente a quel punto potrebbe rinviare di un anno o due il rimescolamento dei quadri al ministero della Difesa o dell’Interno dove i tajiki sono dominanti. Rinviare, non rinunciare. Perché anche Karzai sa che la presenza internazionale è diventata una questione di anni, non è più eterna e ha bisogno di un esercito che sia obbediente a lui e non ai tajiki eredi del comandante Massud».
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