Thursday, 20 August 2009

Afghanistan, gli scenari del dopo voto

di Andrea Nicastro (dal Corriere della Sera del 19 agosto 2009)

Che cosa accade in Afghanistan? Vincono i talebani ob­bligando la gente a non votare? Rivince (e convince) Karzai? E se invece qualcu­no gridasse ai brogli? C’è la possibilità che Kabul si infiammi in un tutti contro tutti visto tante volte? E se, contro i pro­nostici, Karzai perdesse? Uno dei pochi ad avere la competenza per leggere nella sfera di cristallo dell'Afghanistan è Anto­nio Giustozzi, un «cervello» italiano fug­gito all’estero. Ricercatore alla London School of Economics, 42 anni, Giustozzi è tra i più ascoltati esperti di cose afghane. I suoi saggi sono regolarmente saccheg­giati dai think tank governativi per dare a politici e diplomatici le coordinate del mare afghano.
Vincono i talebani. «La leadership talebana - sostiene Giustozzi - non è direttamente entrata in gara. Le dichiarazioni, le minacce, gli attentati sono il minimo che potessero fa­re. Di fatto, però, hanno lasciato ampio spazio di manovra ai singoli comandanti. Questo senz’altro per un problema inter­no di frammentazione: ci sono i talebani vicini ad Al Qaeda ideologicamente con­trari al voto e ce ne sono di più pragmati­ci.Ma se il gruppo di comando centrale avesse voluto chiudere i seggi nelle vaste aree sotto il suo controllo, avrebbe potuto farlo facilmente. Invece ha permesso che alcuni leader trattassero con la famiglia Karzai una tre­gua ben remunerata per il giorno delle elezioni. Ad altri è stato permesso di ven­dere pacchetti di voti. Ci sono addirittura comandanti talebani che fanno campa­gna per Ashraf Ghani - il candidato più filo-americano, ndr -. Per questo la bas­sa affluenza non dovrà essere letta come vittoria talebana. Se pochi andranno a vo­tare sarà soprattutto per la delusione nei confronti del governo e della ricostruzio­ne post-talebana. Non per le minacce».
Perde Karzai. «È lo scenario meno probabile. Possibi­le che sia costretto al ballottaggio con il tajiko Abdullah. Ma a quel punto il presi­dente vincerà di sicuro. Non tanto e non solo per una questione di consensi, ma perché ha in mano le leve necessarie a compiere brogli anche clamorosi. Tutti i responsabili delle commissioni elettorali sono sotto il suo controllo. Ci sono sul mercato una grande quantità di certificati elettorali, vuol dire che c’è qual­cuno che li compra. In un’elezione presi­denziale non ha senso accaparrarsi un centinaio di voti, bisogna manovrarne centinaia di migliaia. E Karzai ha i mezzi necessari. Già nelle presidenziali del 2004 gli os­servatori neutrali avevano segnalato che in aree dove era stata registrata una parte­cipazione femminile del 40%, ai seggi non si era vista neppure l’ombra di una donna. Questa volta i voti femminili spo­stati dal capo tribù o dall’anziano di tur­no in cambio di denaro o favori saranno ancora più numerosi. Nelle campagne c’è stata una vera caccia alla registrazione di donne e giovani per poter disporre dei lo­ro certificati elettorali. Non dovesse ba­stare tutto ciò, ci penseranno comunque i responsabili della macchina governati­va truccando i numeri fino a garantire la rielezione del presidente».
Vince Karzai. «Il voto si sta polarizzando su base et­nica in modo ancora più determinante che nel 2004. Per i pashtun, che sono et­nia maggioritaria, Karzai è comunque il meno peggio. Per i tajiki invece questo voto è l’ultima spiaggia e si sono schiera­ti compatti dietro al candidato Abdullah per tentare di mantenere un certo potere. Hanno ormai sperimentato la 'strate­gia del salame' di Karzai che taglia a fette il loro schieramento comprando o elimi­nando una fetta dopo l’altra. Ora è tocca­to al maresciallo Fahim. Poi toccherà ad altri e alle prossime elezioni non esiste­ranno più come gruppo. Per questo davanti a brogli evidenti o a una vittoria risicata di Karzai potrebbe­ro reagire. Il presidente a quel punto po­trebbe rinviare di un anno o due il rime­scolamento dei quadri al ministero della Difesa o dell’Interno dove i tajiki sono do­minanti. Rinviare, non rinunciare. Per­ché anche Karzai sa che la presenza inter­nazionale è diventata una questione di anni, non è più eterna e ha bisogno di un esercito che sia obbediente a lui e non ai tajiki eredi del comandante Massud».

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