Lavoro che non c'è, analfabetizzazione dilagante, e soldi che servono a malapena a tirare avanti: l'Afghanistan che arriva alle elezioni non cerca solo un nuovo presidente, ma soprattutto un nuovo paese.
di Emanuele Bonini
Ci siamo: l'Afghanistan va al voto. Il paese è chiamato ad eleggere il nuovo presidente, anche se- qualora dovessero essere confermate le previsioni- proprio nuovo potrebbe non esserlo. Sempre lui, ancora lui, Hamid Karzai, sembra essere destinato a restare signore e padrone (e presidente) del paese. Ma il rinnovato Karzai, come del resto l'eventuale vincitore "a sorpresa", se ci sarà, è chiamato a dare un volto e un corso nuovo alla nazione e ai 30 milioni di cittadini che qui vivono. Perchè gli afghani magari non lo chiedono, ma ne hanno bisogno. Il 40% di loro non ha lavoro, e solo nella capitale Kabul due milioni di abitanti (nel 2009 l'Agenzia per lo sviluppo degli Stati Uniti ne ha censiti due milioni e mezzo nell'area urbana, quasi cinque nell'area metropolitana) vivono senza fognatura. Per la città macerie, rottami, carcasse d'automobili e strade dissestate, anche se i palazzi mutilati dalla guerra civile stanno diminuendo. Ma questo non deve trarre in inganno: la situazione rimane critica, e la strada per la normalità è erta e tortuosa. Perchè ricostruire il Paese costa più di quello che l'Afghanistan riceve: dal 2001 a oggi i fondi per la ricostruzione hanno oscillato, mediamente, intorno ai due miliardi l'anno, ma solo per tenere in piedi il Paese ne occorrono 1,3: tanto assorbono le 'voci' stipendi e spesa pubblica. Ce n'è solo di che stare in piedi, insomma, peraltro in modo instabile e precario. Ma per il futuro c'è da ricostruire anche un intero popolo: in tutto il Paese le scuole sono solo il 40% di quelle che servirebbero, e l'analfabetismo dilaga. Anzi, galoppa. Quelli che non sanno leggere e scrivere sono il 35% dei bambini, ma le femmine raggiungono addirittura il 60%. E poi, c'è l'aspettativa di vita: bassissima. Qui, tra bombe, kamikaze, mancanza dimedicinali e carenza di strutture sanitarie, la vita media non supera i 43 anni. E quando non si muore per scontri a fuoco, esplosioni o 'solo' di fame, si muore di parto: in questo angolo di mondo la mortalità per parto è 160 volte più alta che in Italia. Il Paese, quindi, ha bisogno di molto di più di un nuovo presidente: all'Afghanistan serve un nuovo Afghanistan. E il problema è che inizia a esserci: inziano a vedersi le banche, che servono per i proventi dell'oppio- che fattura due miliardi l'anno- e centri commerciali, dove poter riciclare i soldi sporchi della droga. Banche e centri commerciali: capitalismo e consumismo. L'Afghanistan che verrà comincia da qui. Auguri.
Ci siamo: l'Afghanistan va al voto. Il paese è chiamato ad eleggere il nuovo presidente, anche se- qualora dovessero essere confermate le previsioni- proprio nuovo potrebbe non esserlo. Sempre lui, ancora lui, Hamid Karzai, sembra essere destinato a restare signore e padrone (e presidente) del paese. Ma il rinnovato Karzai, come del resto l'eventuale vincitore "a sorpresa", se ci sarà, è chiamato a dare un volto e un corso nuovo alla nazione e ai 30 milioni di cittadini che qui vivono. Perchè gli afghani magari non lo chiedono, ma ne hanno bisogno. Il 40% di loro non ha lavoro, e solo nella capitale Kabul due milioni di abitanti (nel 2009 l'Agenzia per lo sviluppo degli Stati Uniti ne ha censiti due milioni e mezzo nell'area urbana, quasi cinque nell'area metropolitana) vivono senza fognatura. Per la città macerie, rottami, carcasse d'automobili e strade dissestate, anche se i palazzi mutilati dalla guerra civile stanno diminuendo. Ma questo non deve trarre in inganno: la situazione rimane critica, e la strada per la normalità è erta e tortuosa. Perchè ricostruire il Paese costa più di quello che l'Afghanistan riceve: dal 2001 a oggi i fondi per la ricostruzione hanno oscillato, mediamente, intorno ai due miliardi l'anno, ma solo per tenere in piedi il Paese ne occorrono 1,3: tanto assorbono le 'voci' stipendi e spesa pubblica. Ce n'è solo di che stare in piedi, insomma, peraltro in modo instabile e precario. Ma per il futuro c'è da ricostruire anche un intero popolo: in tutto il Paese le scuole sono solo il 40% di quelle che servirebbero, e l'analfabetismo dilaga. Anzi, galoppa. Quelli che non sanno leggere e scrivere sono il 35% dei bambini, ma le femmine raggiungono addirittura il 60%. E poi, c'è l'aspettativa di vita: bassissima. Qui, tra bombe, kamikaze, mancanza dimedicinali e carenza di strutture sanitarie, la vita media non supera i 43 anni. E quando non si muore per scontri a fuoco, esplosioni o 'solo' di fame, si muore di parto: in questo angolo di mondo la mortalità per parto è 160 volte più alta che in Italia. Il Paese, quindi, ha bisogno di molto di più di un nuovo presidente: all'Afghanistan serve un nuovo Afghanistan. E il problema è che inizia a esserci: inziano a vedersi le banche, che servono per i proventi dell'oppio- che fattura due miliardi l'anno- e centri commerciali, dove poter riciclare i soldi sporchi della droga. Banche e centri commerciali: capitalismo e consumismo. L'Afghanistan che verrà comincia da qui. Auguri.
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