In Iraq per la democrazia. O per il petrolio? Per entrambe le cose. Dalla Mesopotamia tante casualità per un disegno sempre più chiaro.
di Emanuele Bonini
Democrazia in cambio di petrolio, perchè niente è gratis e tutto ha un costo. In Iraq, almeno, sembra essere così. Gli eventi sembrano seguire un corso ben preciso: quello dello sfruttamento delle risorse. In questo caso, del greggio. Già avviate le aste per l'estrazione del combustibile fossile all'interno del Paese: a concorrere, tra gli altri, ExxonMobil (Stati Uniti), BP (Gran Bretagna), Shell (Paesi Bassi) ed Eni (Italia). Tutte compagnie di Paesi che schierano soldati sul territorio a difesa della democrazia. Un caso. O forse no. Il primo lotto assegnato è infatto quello di Rumaila, nel sud dell'Iraq, concesso al "consorzio" sino-britannico di Cnpc e BP. Da notare come il contingente britannico in questi anni sia stato di stanza proprio nel sud del Paese. Un caso. O forse no. Perchè all'asta partecipa anche l'italiana Eni, in attesa di una risposta per il campo di Nassiriya, dove erano di stanza i militari inviati da Roma. Verrebbe da chiedersi a questo punto, con un interrogativo scomodo e irritante, per cosa sono morti i nostri soldati a Nassiriya: se per l'esportazione della democrazia o se per l'esportazione del petrolio negli interessi economici sottesi alle operazioni in Iraq. Domanda di cattivo gusto per molti, ma legittima per pochi altri, che si fanno prendere quantomeno dal dubbio. Perchè il caso è uno; due o più casi se non costituiscono un prova formano un indizio. E l'indizio è proprio quello energetico-petrolifero: solo per fare alcuni esempi, nella coalizione internazionale figurano Angola, Corea del Sud, Giappone. E, strano a dirsi, alle aste per i maggiori giacimenti dell'Iraq concorrono l'angolana Sonangol, la sudcoreana Kogas e la giapponese Nippon Oil. Anche questo un caso? Può darsi. Come no. La "coalizione dei volenterosi" di George W. Bush - quella formata dai Paesi che hanno inviato i contingenti più sostanziosi - racchiude Stati Uniti, Spagna, Ucraina, Paesi Bassi, Polonia, Italia, Gran Bretagna e Corea del Sud: a essere in gara per le riserve irachene sono soprattutto Chevron, ConocoPhillips ed ExxonMobil (Stati Uniti), Repsol (Spagna), Shell (Paesi Bassi), Eni ed Edison (Italia), BP, BG Group e BHP Billiton (Gran Bretagna) e Kogas (corea del Sud). Un caso? Mica tanto. Perchè ogni cosa ha un costo, e niente è gratis. E l'impressione è che in Iraq ci sia un compravendita nel nome di un programma "Oil for democracy". (fonte foto: laRepubblica)
di Emanuele Bonini
Democrazia in cambio di petrolio, perchè niente è gratis e tutto ha un costo. In Iraq, almeno, sembra essere così. Gli eventi sembrano seguire un corso ben preciso: quello dello sfruttamento delle risorse. In questo caso, del greggio. Già avviate le aste per l'estrazione del combustibile fossile all'interno del Paese: a concorrere, tra gli altri, ExxonMobil (Stati Uniti), BP (Gran Bretagna), Shell (Paesi Bassi) ed Eni (Italia). Tutte compagnie di Paesi che schierano soldati sul territorio a difesa della democrazia. Un caso. O forse no. Il primo lotto assegnato è infatto quello di Rumaila, nel sud dell'Iraq, concesso al "consorzio" sino-britannico di Cnpc e BP. Da notare come il contingente britannico in questi anni sia stato di stanza proprio nel sud del Paese. Un caso. O forse no. Perchè all'asta partecipa anche l'italiana Eni, in attesa di una risposta per il campo di Nassiriya, dove erano di stanza i militari inviati da Roma. Verrebbe da chiedersi a questo punto, con un interrogativo scomodo e irritante, per cosa sono morti i nostri soldati a Nassiriya: se per l'esportazione della democrazia o se per l'esportazione del petrolio negli interessi economici sottesi alle operazioni in Iraq. Domanda di cattivo gusto per molti, ma legittima per pochi altri, che si fanno prendere quantomeno dal dubbio. Perchè il caso è uno; due o più casi se non costituiscono un prova formano un indizio. E l'indizio è proprio quello energetico-petrolifero: solo per fare alcuni esempi, nella coalizione internazionale figurano Angola, Corea del Sud, Giappone. E, strano a dirsi, alle aste per i maggiori giacimenti dell'Iraq concorrono l'angolana Sonangol, la sudcoreana Kogas e la giapponese Nippon Oil. Anche questo un caso? Può darsi. Come no. La "coalizione dei volenterosi" di George W. Bush - quella formata dai Paesi che hanno inviato i contingenti più sostanziosi - racchiude Stati Uniti, Spagna, Ucraina, Paesi Bassi, Polonia, Italia, Gran Bretagna e Corea del Sud: a essere in gara per le riserve irachene sono soprattutto Chevron, ConocoPhillips ed ExxonMobil (Stati Uniti), Repsol (Spagna), Shell (Paesi Bassi), Eni ed Edison (Italia), BP, BG Group e BHP Billiton (Gran Bretagna) e Kogas (corea del Sud). Un caso? Mica tanto. Perchè ogni cosa ha un costo, e niente è gratis. E l'impressione è che in Iraq ci sia un compravendita nel nome di un programma "Oil for democracy". (fonte foto: laRepubblica)
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