Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (purtroppo!) è davvero possibile.
di Emiliano Biaggio - Cantami o diva l'irap funesta che infine addusse... Berlusconi. «Taglio graduale dell’Irap». Il premier annuncia quello che è l'ultimo provvedimento «allo studio» nel governo. Tremonti prima sviene, quindi rischia un collasso. Poi si riprende e chiede chiarimenti, e già corre voce che voglia lasciare. «Ormai nel governo ci sono due linee, quella europea del rigore e quella della spesa pubblica sostenuta da Fini. Berlusconi mi dica qual è la linea del governo: se è quella della spesa pubblica io non ci sto». Nel Pdl sale la tensione, serve un chiarimento e serve subito, visto che il Cavaliere e il suo ministro dell'Economia evidentemente hanno maniere diverse di intendere la strategia economica-finanziaria della Repubblica: nella Finanziaria 'leggera' 2010 varata da poco, infatti, Tremonti ha tenuto a sottolineare che «non stiamo facendo la Finanziaria vecchio stile, le agevolazioni saranno fatte quando avremo il quadro complessivo». Insomma, si tratta di «un documento importante perché stabilizza i conti pubblici per tre anni». Tradotto: una Finanziaria di programmazione fatta per evitare di Finanziaria ogni sei mesi. Berlusconi, che conosce il significato dell'italiano, ovviamente sa che "ogni dieci giorni" non significa lo stesso di "ogni sei mesi", e quindi rivoluziona il disegno tremontiano. Peccato che il ministro non sia stato informato. Non solo: la stampa spiona di sinistra, organizzata sotto il nome di Notapolitica.it, arrivano a parlare di resa dei conti interna al Pdl: addirittura esisterebbe un documento di 10 punti per stoppare il protagonismo del superministro dell'Economia, con cui «alcuni tra gli uomini più in vista del centrodestra nazionale- Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Claudio Scajola, Stefania Prestigiacomo e Raffaele Fitto- per ragioni diverse, chiederebbero a Berlusconi una nuova 'rotta' per la politica economica del governo». Richieste che arrivano, è bene sottolineato da tre ministri della Repubblica. La cosa non sfugge (e come potrebbe?) agli ambiente vaticani: nel Pdl, sostiene Avvenire, si è «aperto un confronto non privo di tensioni su come affrontare la crisi, un dibattito che, se non sviscerato nella sua sede propria, quella di una sede di partito, rischia di rendere patologico il contenzioso». Crisi di governo alle porte? Eventuali fuoriuscite di un ministro come quello dell'Economia potrebbere essere fatale, ma Tremonti fuga ogni dubbio: «Non mi dimetto». Ecche so' scemo? Nel Pdl si tirano sospiri di sollievo: «Per fortuna non c'è nessun caso Tremonti», si appresta a dichiarare alla stampa e agli elettori il ministro Sacconi. Che spiega: «C'è una qualche dialettica interna che è fisiologica». 'Num sem chi per laurà', dialetticano quelli della Lega, tra cui Bossi. Il senatùr conferma di essere in sintonia col collega Sacconi: mica c'è un caso Tremonti, «vogliono farlo fuori». Tutto qui. Scajola, eroe del G8 di Genova e responsabile dello Sviluppo economico della Repubblica, precisa per evitare che si fraintenda: «Il governo è unito ma c'è chi gioca a destabilizzarlo». Nel senso che «il presidente del Consiglio ha inserito nel programma la riduzione graduale delle tasse sui cittadini e sulle imprese entro la fine della legislatura, e Non mi pare ci sia nulla di nuovo rispetto a quello che è stato detto». Berlusconi, in Russia dal suo amico Putin, capisce che dopo i chiarimenti dei suoi è il caso che chiarisca lui, e lui- non c'è che dire- è molto chiaro: «I ministri devono parlare meno, tutti. A guidare la maggioranza e il governo ci penso io e il mio auspicio sull’Irap è preso pari-pari dal programma di governo dove c’è anche il taglio dell’Irpef». Ma anche Tremonti chiarisce: «Non c’è altra politica economica da seguire se non quella in atto. Se qualcuno pensa si possa fare altro, si accomodi al mio posto. Ci penseranno i mercati a fargli cambiare idea. Se invece vuoi che resti al mio posto devi darmi un ruolo da vicepremier». In soccorso del Cavaliere arriva Brunetta, altro ministro: del vicepremierato Tremonti «non ne ha bisogno», taglia corto. «Secondo me sì», replica Bossi. Insomma, la dialettica di governo c'è eccome, ma non sembra proprio tanto fisiologica. Tanto che Fini avverte: «Se [Berlusconi] concedesse a Tremonti la vicepresidenza del Consiglio le conseguenze sarebbero disastrose». 'Buoni, che ghe pensi mi', dice Bossi. Tremonti «lo proteggo io», assicura venendo in soccorso del suo governo e dei suoi interessi, visto che il leader del Carroccio attraverso Tremonti vorrebbe ottenere i candidati governatori di Veneto e Piemonte. Tra questi Zaia, ministro delle Politiche agricole, che potrebbe lasciare libera la poltrona per nuove ulteriori dialettiche interne. Ma tant'è: il cavaliere ragiona con il suo ministro dell'Economia. A Tremonti chiede «maggiore collegialità, perché insieme si possono trovare delle soluzioni». «...di spesa», replica il ministro. Ma cribbio!, ma «come faccio ad andare avanti in questo modo?», sbotta il premier. 'Per una volta che non ci si mettono, i comunisti, i terroristi, gli interisti, i giornalisti, la stampa estera, le toghe rosse, Avvenire e istituzioni di sinistra, vi ci mettete voi? Adesso che non c'è nemmeno l'opposizione del Pd?'. Ma qui il cavaliere si sbaglia, perchè il centro-sinistra, dopo aver mostrato di non avere nè capo e nè coda, adesso ha un capo. Il Pd ha infatti eletto il suo segretario: è Bersani. Il cavaliere adesso ha un nuovo avversario.
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