La comunità corre a prendersi i meriti degli interventi. Mentre le vittime sono ancora da conteggiare e i superstiti aspettano aiuti.
l'e-dittoreale
Un terremoto che distrugge una città e mette in ginocchio un paese, una tragedia che colpisce milioni di persone e che lascia - per le strade e sotto le macerie - centinaia di migliaia di morti. Una nazione al collasso, con un governo senza più sedi operative, e - soprattutto - una popolazione allo stremo, senza più case nè viveri. Haiti si mostra così al mondo, in tutta la sua impotenza di fronte a un terremoto che è destinato a segnare per sempre la storia di questo stato. Uno stato che inizia a fare i conti con gli effetti del sisma: secondo alcuni i morti sarebbero almeno 70.000, per altri addirittura 200.000, ma il bilancio è comunque destinato a essere rivisto con il passare del tempo, e via via che si scava sotto ciò che resta degli case e palazzi; e poi c'è la questione degli edifici, dei collegamenti, delle infrastrutture: un paese bloccato e che risulta difficile da raggiungere, e che fa fatica a ricevere gli aiuti proprio per questo. O meglio, anche per questo. Sulle attività di soccorso si assiste ad una sceneggiata forse senza eguali, ma sicuramente non da applausi. Lo scenario di devastazione diventa per ognuno motivo di salire in passerella e dire "io ho salvato questo", "io ho fatto questo". Il primo a volersi mettere in mostra è Guido Bertolaso, l'uomo delle emergenze italiane e capo di una Protezione civile il cui funzionamento è stato in più di un'occasione riconosciuto e pubblicamente apprezzato. Sarà per questo che Bertolaso arriva a dire che «manca coordinamento» nelle attività di soccorso e che «sarebbe stato opportuno nominare un responsabile per le operazioni». L'Italia, insomma non resta indifferente di fronte a questa tragedia, e il ministro degli Esteri Frattini annuncia che come paese «diamo la nostra disponibilità da ora a cancellare il debito che Haiti ha verso l'Italia, e che ammonta a 40 milioni di euro». Per carità, Frattini si sbriga a precisare che «questo riconoscimento è un primo modo per aiutare l'inizio della ricostruzione», ma come ha dimostrato anche il G8 di Genova, cancellare un debito - sostanzioso o meno che sia - senza creare le condizioni per non contrarne più di nuovi non è un aiuto, ma solo uno specchietto per le allodole: un modo per sentirsi a posto con la coscienza e far credere di aver teso una mano, quando in realtà si è operato all'insegna di ipocrita buonismo e umiliante raggiro. I fatti diranno quanto l'Italia avrà saputo essere veramente vicina ad Haiti, ma resta il dubbio su quelli che sono gli annunci. Non solo quelli tricolore. Il comportamento assunto dagli altri paesi è anche più imbarazzante: Washington ha portato più di 10.000 soldati sull'isola, con marines statunitensi che hanno preso il controllo dell'unico aeroporto di Port au Prince, regolando il flusso dei voli. Un impegno assunto per «riportare un pò d'ordine nello scalo in modo che gli aerei possano arrivare e partire», secondo le spiegazioni fornite dal colonnello dell'aeronautica degli Stati Uniti Patrick Hollrah. Ma i francesi protestano: «Si tratta di aiutare Haiti, non di occuparla», afferma il segretario di stato francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, che critica il modo con cui gli Usa stanno gestendo i soccorsi. Anche il ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, chiede spiegazioni a Washington sulle difficoltà che gli aerei con aiuti inviati da Brasilia incontrano per poter atterrare nella capitale haitiana. L'impressione è che gli Stati Uniti stiano cogliendo questa occasione per costituire un protettorato dell'isola e un controllo del paese, e che ognuno voglia fare la propria parte più per vanità (per non dire interesse) che per altro. Una conferma sembrerebbe offrirla il premier italiano, che - in un contesto di vie bloccate, accessi difficoltosi e aiuti a singhiozzo - chiede ufficialmente a Bertolaso di recarsi personalmente ad Haiti. Per aiutare o per farsi pubblicità? Il venezuelano Hugo Chavez e il cubano Fidel Castro l'hanno definita «la vergogna della nostra era». Come dar loro torto? In fin dei conti gli abitanti di Haiti hanno bisogno di aiuto, ma all'intero della comunità internazionale c'è qualcuno - e anche più di qualcuno - che non sembra essersene accorto.
(Editoriale per la puntata del 22 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, trasmissione in onda su Radio Libera tutti)
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Un terremoto che distrugge una città e mette in ginocchio un paese, una tragedia che colpisce milioni di persone e che lascia - per le strade e sotto le macerie - centinaia di migliaia di morti. Una nazione al collasso, con un governo senza più sedi operative, e - soprattutto - una popolazione allo stremo, senza più case nè viveri. Haiti si mostra così al mondo, in tutta la sua impotenza di fronte a un terremoto che è destinato a segnare per sempre la storia di questo stato. Uno stato che inizia a fare i conti con gli effetti del sisma: secondo alcuni i morti sarebbero almeno 70.000, per altri addirittura 200.000, ma il bilancio è comunque destinato a essere rivisto con il passare del tempo, e via via che si scava sotto ciò che resta degli case e palazzi; e poi c'è la questione degli edifici, dei collegamenti, delle infrastrutture: un paese bloccato e che risulta difficile da raggiungere, e che fa fatica a ricevere gli aiuti proprio per questo. O meglio, anche per questo. Sulle attività di soccorso si assiste ad una sceneggiata forse senza eguali, ma sicuramente non da applausi. Lo scenario di devastazione diventa per ognuno motivo di salire in passerella e dire "io ho salvato questo", "io ho fatto questo". Il primo a volersi mettere in mostra è Guido Bertolaso, l'uomo delle emergenze italiane e capo di una Protezione civile il cui funzionamento è stato in più di un'occasione riconosciuto e pubblicamente apprezzato. Sarà per questo che Bertolaso arriva a dire che «manca coordinamento» nelle attività di soccorso e che «sarebbe stato opportuno nominare un responsabile per le operazioni». L'Italia, insomma non resta indifferente di fronte a questa tragedia, e il ministro degli Esteri Frattini annuncia che come paese «diamo la nostra disponibilità da ora a cancellare il debito che Haiti ha verso l'Italia, e che ammonta a 40 milioni di euro». Per carità, Frattini si sbriga a precisare che «questo riconoscimento è un primo modo per aiutare l'inizio della ricostruzione», ma come ha dimostrato anche il G8 di Genova, cancellare un debito - sostanzioso o meno che sia - senza creare le condizioni per non contrarne più di nuovi non è un aiuto, ma solo uno specchietto per le allodole: un modo per sentirsi a posto con la coscienza e far credere di aver teso una mano, quando in realtà si è operato all'insegna di ipocrita buonismo e umiliante raggiro. I fatti diranno quanto l'Italia avrà saputo essere veramente vicina ad Haiti, ma resta il dubbio su quelli che sono gli annunci. Non solo quelli tricolore. Il comportamento assunto dagli altri paesi è anche più imbarazzante: Washington ha portato più di 10.000 soldati sull'isola, con marines statunitensi che hanno preso il controllo dell'unico aeroporto di Port au Prince, regolando il flusso dei voli. Un impegno assunto per «riportare un pò d'ordine nello scalo in modo che gli aerei possano arrivare e partire», secondo le spiegazioni fornite dal colonnello dell'aeronautica degli Stati Uniti Patrick Hollrah. Ma i francesi protestano: «Si tratta di aiutare Haiti, non di occuparla», afferma il segretario di stato francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, che critica il modo con cui gli Usa stanno gestendo i soccorsi. Anche il ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, chiede spiegazioni a Washington sulle difficoltà che gli aerei con aiuti inviati da Brasilia incontrano per poter atterrare nella capitale haitiana. L'impressione è che gli Stati Uniti stiano cogliendo questa occasione per costituire un protettorato dell'isola e un controllo del paese, e che ognuno voglia fare la propria parte più per vanità (per non dire interesse) che per altro. Una conferma sembrerebbe offrirla il premier italiano, che - in un contesto di vie bloccate, accessi difficoltosi e aiuti a singhiozzo - chiede ufficialmente a Bertolaso di recarsi personalmente ad Haiti. Per aiutare o per farsi pubblicità? Il venezuelano Hugo Chavez e il cubano Fidel Castro l'hanno definita «la vergogna della nostra era». Come dar loro torto? In fin dei conti gli abitanti di Haiti hanno bisogno di aiuto, ma all'intero della comunità internazionale c'è qualcuno - e anche più di qualcuno - che non sembra essersene accorto.
(Editoriale per la puntata del 22 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, trasmissione in onda su Radio Libera tutti)
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