Saturday, 13 February 2010

«Berlusconi frutto di Cosa Nostra. E tutti sapevano»

Parla Massimo Ciancimino, che racconta una Italia da brivido. Tra rivelazioni bomba - da accertare - e scenari inquietanti.

di Emiliano Biaggio

Uno Stato che non è Stato, un ordine istituzionalizzato più che istituzionale, un potere investito di autorità da chi potere e autorità lo è già. Un intreccio di politica, forze occulte e organismi ombra, con personaggi più o meno noti ma tutti con un passato oscuro e segreti da nascondere. Sembra la trama di una spy-story, e invece è l’Italia che racconta Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco corleonese di Palermo, don Vito Ciancimino. Il pentito di mafia, al processo contro il generale dei carabinieri Mauro Mori, accusato di aver ritardato la perquisizione del covo di Toto Riina, svela i suoi segreti: Forza Italia è nata dalle trattative tra Stato e Cosa Nostra, e «Berlusconi era il frutto di questi accordi», racconta ai magistrati. Berlusconi, l’attuale capo del governo e una volta giovane imprenditore che diede vita al complesso residenziale denominato Milano due, in cui, rivela Ciancimino, «investì mio padre». Un lungo rapporto, prima forse inconsapevole e poi dichiarato tra Berlusconi e malavita organizzata, in una continua linea di confine e contatto tra Stato e anti-Stato. Dove tutti sapevano. Perché allora, continua il figlio di Don Vito, «i ministri Rognoni e Mancino erano a conoscenza del dialogo intrapreso tra mio padre con il vice comandante del Ros, Mario Mori. Me lo disse mio padre, che lo aveva saputo da un esponente dei servizi segreti». Una storia di intrighi forse suggestiva e certamente inquietante, quella offerta da Ciancimino, in una deposizione a metà strada tra l’horror e il noir, dove tutto ruota a una creatura che si ribella al proprio che creatore, con «Provenzano che- continua il pentito- richiamava il partito nato anche come conseguenza della trattativa a ritornare sui propri passi». Enigmi e colpi di scena, per un mistero degno del miglior Poirot: questi direbbe forse che il colpevole è il maggiordomo, e allora ecco che per la maggioranza l’assassino è Ciancimino junior, che si dipinge proprio come maggiordomo dei rapporti tra Stato e mafia. Di «disegno politico» parla Sandro Bondi, ministro ai beni culturali, di «tentativo di delegittimazione dell’azione del governo» parla invece il ministro della giustizia Angelino Alfano, agrigentino e amico di Dell’Utri, lo stesso Dell’Utri ex stalliere di Berlusconi – col quale fondò Forza Italia - e attuale senatore del Pdl, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ancora intrecci e ambiguità. L’Idv non lascia spazi a dubbi e accusa il governo di essere «paramafioso», mentre il Pd preferisce invece la cautela. «Lasciamo lavorare la magistratura», commenta il responsabile giustizia del partito, Andrea Orlando. Prudenza doverosa, perché intanto il nostro codice penale stabilisce che ognuno è innocente fino a prova contraria, e poi perché la delicatezza del caso lo richiede. Certo, viene da chiedersi come mai il premier – un’esperienza da piduista alla spalle – abbia tanta voglia di ripristinare l’immunità parlamentare e come mai il senatore del Pdl Giuseppe Valentino abbia voluto presentare un disegno di legge contro le dichiarazioni dei pentiti. Altri interrogativi di una storia tutta italiana che – anche ammesso sia già stata scritta – deve ancora offrire un finale. Con lo spettatore – e forse non solo questo – che lo aspetta col fiato sospeso. Forse un epilogo potrà offrirlo lo stesso Ciancimino junior, che il prossimo 2 marzo – giorno della fine della posizione al processo Mori – per replicare alla accuse arrivate dagli esponenti della maggioranza.
(Editoriale della puntata di E' la stampa bellezza del 12 febbraio 2010, in onda su Radio Libera Tutti.)

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