Monday, 15 February 2010

Via Binetti, ma sul Pd sventola bandiera bianca

Il progetto Partito democratico è fallito. E mentre si fa la conta di chi resta, si fa largo l'ipotesi di un grande centro Udc-Api che potrebbe far morire quel che resta di un partito in agonia.

l'e-dittoreale

Dopo gli annunci, i fatti: Paola Binetti lascia il Pd. Dice addio - non senza polemiche - e "trasloca" nell'Udc. «La deriva zapaterista del Pd non posso accettarla», spiega la teodem, contenta due volte: per il suo abbandono e per la solidarietà interna al partito democratico. «Grazie a Dio me ne sono andata. Ma molti sono dispiaciuti». Il primo è Pier Luigi Castagnetti, secondo cui «l'uscita della Binetti è una grave perdita per il Pd». Dello stesso avviso anche Paolo Gentiloni, per il quale adesso «il partito è più povero». Bersani prende atto delle decisioni della teodem, con amarezza. «Non posso, ovviamente, condividere le sue motivazioni», ma «l'allontanamento dell'onorevole Binetti è quello che mi dispiace di più», dice il segretario del Pd. Segretario al quale Binetti rivolge un ultimo pensiero: «Bersani è un rappresentante illuminato dei vecchi Ds, ma non è mai stato il leader della sintesi coi cattolici». La verità, aggiunge Binetti, è che «il Pd ha fallito». Parole dure, ma vere. Il Pd perde un altro tassello di quella che è ormai - è sempre più palese - è una scomessa persa, in una partita finita male. Nonostante Enrico Letta sia convinto che alla fine «il progetto Pd pagherà», allo stato attuale l'unica cosa che paga - e continua a pagare - è dazio. Le fila si rimpiccioliscono, e negli occhi appare solo smobilitazione. In questa lenta emorragia, Binetti è solo l'ultima delle perdite. Logico che tutti siano concordi col dire che senza Binetti il partito ci perde, perchè perde il progetto Pd. Progetto che a questo punto dovrà essere rivisto, ma con chiarezza. Binetti, andandosene, palesa quello che era sotto gli occhi di tutti: una incompatibilità tra le idee di centro e quelle di sinistra. Una fisiologica incapacità di piegarsi ai dictat cattolici da una parte e al non voler assolutamente spostarsi verso istanze più laiche dall'latra. «Per la cultura cattolica non c'è più spazio nel Pd, Bersani ha fatto un partito che somiglia ai socialisti spagnoli», denuncia Binetti. Ecco la verità del fallimento democrat, nelle parole di una donna delusa ed adirata ma non per questo inattendibile. Anzi. Binetti ha una buona dose di ragione, perchè in questo Pd, già orfano di Rutelli, Carra e Bianchi - la forte corrente centrista, per intenderci - c'è sempre più vecchia guardia Ds e sempre meno alternativa. Restano Franceschini, Realacci e soci, quella corrente centrista spostata a sinistra. E viene da chiedersi fino a quando. Il Pd vive e convive di difficoltà, ed è un partito «più povero», per dirla alla Gentiloni, perchè è sempre più debole e indebolito rispetto a sè stesso e a tutti gli altri: il Pdl - nonostante le divisioni - continua a macinare consensi, l'Idv di Di Pietro è in crescita, e l'Udc conserva un bacino di elettori e un potere attrattivo di voti tale da essere conteso da una parte e dall'altra. Se poi è vero che qualcuno già pensa a un avvicinamento tra Udc e Api, allora «i tempi per un grande centro sono maturi», enfatizza e auspica Binetti. Che a questo punto non se n'è andata per caso. In un'ottica bipolare, con un centro forte e un Pdl schiacciasassi, il Pd che futuro può avere? Allo stato attuale il rischio è quello di morire per emorragia interna. Per questo si dovrà fare chiarezza, e capire dove il Pd vorrà stare. Magari con un altro nome e un altro progetto, perchè quello democrat è ormai un sogno infranto.

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