Saturday, 20 February 2010

Intercettazioni e privacy, la sottile linea della discordia

Berlusconi vuole rivedere l'utilizzo del controllo delle telefonate e loro pubblicazione in nome della riservatezza. Che può arrivare a significare silenzio, da parte di tutti. Smantellando un sistema che ha permesso di smascherare grandi frodi e tanti illeciti.

l'e-dittoreale

«Non si può governare attaccati da pubblici dipendenti che sono i giudici». E poi c'è il problema dell'equilibrio tra uno strumento necessario per le indagini - quello delle intercettazioni - e la tutela della privacy degli indagati. Esclusa la via del decreto legge, il disegno di legge sulle intercettazioni seguirà il normale iter parlamentare (il testo è stato licenziato alla Camera lo scorso 11 giugno e il termine per presentare gli emendamenti prima dell’approdo a Palazzo Madama è il 3 marzo). Un testo che «non mi convince del tutto, lo vorrei più severo. Però è meglio della situazione attuale che è di barbarie pura. Quindi proseguiremo con quel testo». Berlusconi adesso vuole fare sul serio. Perchè lo scandalo sui grandi eventi e il conseguente "fango" piovuto addosso a Bertolaso, sono il frutto proprio delle intercettazioni. Solo grazie ai colloqui telefonici è stato possibile smascherare "la cricca", e rivelare quel torbido intreccio tra pubblico e privato, politica e imprenditoria. Probabilmente senza a quest'ora nessuno saprebbe nulla. Ecco perchè le intercettazionei sono e restano uno strumento importante, ma è proprio per questo che forse adesso più che mai rappresentano un qualcosa su cui intervenire. Come vuole il presidente del Consiglio. E' futile ricordare l'importanza della tutela della privacy, così come è inutile ricordare che lo stesso presidente del Consiglio è al centro di inchieste giudiziarie e che il tener sotto controllo telefonate in entrata e uscita ha permesso di far venire alla luce scandali come quello di Calciopoli. Si pone quindi il problema del confine della legittimità e della tollerabilità dello strumento: questione delicata per un tema scottante. Spingersi oltre questa linea sottile - da una parte e dall'altra - significa andare contro diritti e stato di diritto. L'opposizione teme - legittimamente - che la manovra voluta da Silvio Berlusconi finisca con legare le mani ai magistrati - categoria attaccata più volte e sempre duramente - e imbavagliare la stampa - altra categoria con la quale il premier non è tenero. Il rischio c'è, e non va negato. Ma c'è anche il pur legittimo dubbio sul quando le intercettazioni non possono essere usate. Il controllo di corrispondenza o conversazioni telefoniche lede la libertà della persona, ma non se questa è colpita da avviso di garanzia o al centro di indagini. Ci sono margini di manovra. All'interno di questi va stabilito se è contemplata o meno - e se sì quando - la diffusione pubblica. La privacy è, per legge, garantita per questioni di salute e questioni sessuali. Ma qui, la sfera sessuale nel caso Bertolaso è - dal quadro che sembra delinearsi - all'interno di un disegno più ampio. Ben inteso, rapporti extra-coniugali - veri o presunti che siano - riguarda la sfera privata tra uomo e donna. Ma se il rapporto extraconiugale è una parte della moneta con cui si paga una persona da corrompere, certo la questione diventa di competenza di chi è chiamato a fare indagini e poi - eventualmente - giudicare. La preoccupazione - per un pericolo che potrebbe essere vero e serio - arriva dalla denuncia del presidente del Consiglio di quello da lui definito «network» mediatico-giudiziario che starebbe, secondo il premier e la maggioranza, portando avanti una campagna di stampa pronta a mescolare fatti veri (le tangenti e la corruzione nella Pubblica amministrazione, denunciata anche dalla Corte dei conti) con personaggi che ne sarebbero le vittime e non i responsabili (Bertolaso). Attaccare potere giurisdizionale e stampa significa delegittimare elementi democratici, e quindi la democrazia stessa. Qui si annida l'insidia, qui nasce il pericolo. Berlusconi ha promesso un "giro di vite" contro la corruzione. Vuole, giustamente, ripulire l'immagine di una politica semprè più al centro di scandali. Ma allo stesso tempo accusa: «Vogliono farmi fuori». Anche con queste parole viene percipito il pericolo. E non solo dal premier.

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