Prevale Allawi per soli due seggi, con lo sconfitto al-Maliki che non riconosce gli esiti elettorali
di Emanuele Bonini
L'Iraq sceglie il suo nuovo presidente: è Iyad Allawi, sciita. Un risultato che preoccupa per gli equilibri interni, dato un paese a maggioranza sunnita e con una repubblica islamica quale l'Iran - sciita come il nuovo premier iracheno - lì a due passi, ma soprattutto lì lungo lintero confine orientale. Ma a destare preoccupazioni sono altri due aspetti: il primo è il risultato "di misura" con cui Allawi ha vinto sull'avversario, il premier uscente Nouri Al-Maliki (91 seggi contro 89, che vuol dire ingovernabilità); il secondo è il mancato riconoscimento di sconfitta da parte di al-Maliki e del suo partito (Alleanza per lo stato di diritto). «I risultati non sono definitivi e suscitano dubbi», sostiene al-Maliki, che accusa l'Onu per «non aver impedito le frodi» alle elezioni del 7 marzo. Il premier uscente, inoltre, non collaborerà con Iraqiya - il partito di Allawi - e con il nuovo capo di governo: «Siamo sempre impegnati a nominare Nouri al-Maliki come unico candidato alla guida del prossimo governo», fa sapere il portavoce della lista Stato di Diritto, Hajim al Hosni. Un vero e propro problema per chi ha una maggioranza esigua come Allawi: nel nuovo parlamento, infatti, oltre ai 91 seggi di Iraqiya e gli 89 della coalizione di Maliki, ci saranno i 70 seggi dell’Ina (l’alleanza sciita), ci saranno i kurdi della Kurdistan Alliance, con 43 seggi, e poi (poche) altre formazioni politiche: in totale 325 seggi, 8 dei quali riservati alle minoranze (cristiani, yazidi, sabei-mandei, e shabak). La maggioranza – per la fiducia al governo - è di 163 seggi, dunque saranno necessarie alleanze. In un senso o nell'altro. Dalle urne irachene esce dunque un assetto che condanna il Paese all'instabilità politica e all'ingovernabilità, a tutto vantaggio delle forze disgreganti del paese - insorti e forze filo-iraniane. La democrazia, fragile prima e ancor più debole adesso, inizia tra mille difficoltà e nuove delicate sfide la nuova legislatura. L'impressione è che nonostante tutto, la democrazia ancora non sia stata esportata con successo, e che il lavoro da compiere sia ancora molto.
di Emanuele Bonini
L'Iraq sceglie il suo nuovo presidente: è Iyad Allawi, sciita. Un risultato che preoccupa per gli equilibri interni, dato un paese a maggioranza sunnita e con una repubblica islamica quale l'Iran - sciita come il nuovo premier iracheno - lì a due passi, ma soprattutto lì lungo lintero confine orientale. Ma a destare preoccupazioni sono altri due aspetti: il primo è il risultato "di misura" con cui Allawi ha vinto sull'avversario, il premier uscente Nouri Al-Maliki (91 seggi contro 89, che vuol dire ingovernabilità); il secondo è il mancato riconoscimento di sconfitta da parte di al-Maliki e del suo partito (Alleanza per lo stato di diritto). «I risultati non sono definitivi e suscitano dubbi», sostiene al-Maliki, che accusa l'Onu per «non aver impedito le frodi» alle elezioni del 7 marzo. Il premier uscente, inoltre, non collaborerà con Iraqiya - il partito di Allawi - e con il nuovo capo di governo: «Siamo sempre impegnati a nominare Nouri al-Maliki come unico candidato alla guida del prossimo governo», fa sapere il portavoce della lista Stato di Diritto, Hajim al Hosni. Un vero e propro problema per chi ha una maggioranza esigua come Allawi: nel nuovo parlamento, infatti, oltre ai 91 seggi di Iraqiya e gli 89 della coalizione di Maliki, ci saranno i 70 seggi dell’Ina (l’alleanza sciita), ci saranno i kurdi della Kurdistan Alliance, con 43 seggi, e poi (poche) altre formazioni politiche: in totale 325 seggi, 8 dei quali riservati alle minoranze (cristiani, yazidi, sabei-mandei, e shabak). La maggioranza – per la fiducia al governo - è di 163 seggi, dunque saranno necessarie alleanze. In un senso o nell'altro. Dalle urne irachene esce dunque un assetto che condanna il Paese all'instabilità politica e all'ingovernabilità, a tutto vantaggio delle forze disgreganti del paese - insorti e forze filo-iraniane. La democrazia, fragile prima e ancor più debole adesso, inizia tra mille difficoltà e nuove delicate sfide la nuova legislatura. L'impressione è che nonostante tutto, la democrazia ancora non sia stata esportata con successo, e che il lavoro da compiere sia ancora molto.
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