A Gerusalemme est nuove costruzioni tra l'ira della Casa Bianca. Netanyahu: «Nessuno stop». E Obama lo abbandona per andare a cena.
di Emiliano Biaggio
Israele costruisce nuovi insediamenti a Gerusalemme est, provocando le immediate critiche dell’Autorità nazionale palestinese e – soprattutto - degli Stati Uniti, che considerano l’iniziativa una minaccia per i negoziati di pace in Medio Oriente. Lo stop alla realizzazione di nuove colonie a Gerusalemme est è infatti una delle condizioni che vengono poste a Israele dalla road map, e il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha disapprovato le nuove costruzioni e il mancato intervento delle autorità israeliane. Critiche per il governo di Benjamin Netanyahu anche da parte del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: l’inquilino della Casa Bianca – pur ribadendo che Stati Uniti e Israele sono legati da una forte e grande amicizia – ha fatto sapere all’esecutivo di Tel Aviv di non aver gradito la notizia, intimando uno stop definitivo della costruzione delle colonie.
Gerusalemme est è da sempre contesa tra arabi e israeliani, tra Israele e Anp, con il primo che ne ha fatto la propria capitale (Tel Aviv è la città dove ha sede il governo) e che la vede come territorio irrinunciabile per il proprio stato, e la seconda che la rivendica per la comunità palestinese e ne vuole libero accesso per via delle moschee che qui sorgono e che gli arabi considerano importanti luoghi di culto. I negoziati di pace – che dovrebbero portare da Israele e territori palestinesi a Israele e stato palestinese – impongono a Israele, come detto, il divieto a realizzare qualsiasi nuovo insediamento nel territorio in questione: da parte israeliana, dunque, una violazione degli impegni assunti che ha fatto riaccendere gli scontri tra la parti in causa. Sullo Stato ebraico, infatti, sono stati lanciati missili in numero e continuità come non si vedeva da prima dell’operazione “Piombo fuso”, la campagna militare con cui Israele rispose alla continua caduta su suolo israeliano di razzi sparati dai miliziani di Hamas. A Washington c’è quindi il timore che la situazione possa nuovamente precipitare, vanificando così tutti gli sforzi della diplomazia e assestando un duro colpo ai negoziati di pace. E se ciò dovesse accadere sarebbe un duro smacco per Barack Obama, che ha fatto della risoluzione della questione del Medio Oriente una delle priorità della propria agenda di politica estera, già durante la campagna elettorale. I nuovi insediamenti irritano dunque anche gli Stati Uniti, gli “amici di sempre” di Israele, forse mai così in crisi con lo storico alleato.
Il premier israeliano ha smentito che tra i due paesi ci siano dissapori e crisi, ma è certo che l’attuale governo dello stato ebraico risenta del peso, sia all’intero dello stesso governo che nella Knesset (il parlamento israeliano, ndr) , della destra di Avigdor Lieberman, forte e convinto sostenitore della costruzione degli insediamenti. Insediamenti – 1.600 nuovi alloggi - che non si fermeranno, ha avuto modo di dichiarare Netanyahu ad un contrariato Obama che, a un certo punto del faccia a faccia avuto alla Casa bianca nei giorni scorsi organizzato per discutere della questione, ha abbandonato il premier israeliano stufo per le continue chiusure e le mancate concessioni di Israele. «Ora me ne ne vado negli appartamenti privati per cenare con Michelle e le bambine. Fammi sapere se ci sono novità», ha detto un Obama contrariato e stizzito. Mai prima d’ora era stato riservato un trattamento simile a un capo di governo israeliano, segno del solco aperto tra Stati Uniti e Israele, e di un caso a questo punto ancor più diplomatico. Intanto il presidente Usa dà un vero e proprio schiaffo a Netanyahu, «umiliato» secondo i media israeliani. Agli occhi dell’opinione pubblica internazionale vince Obama e perde Netanyahu: chissà se questo servirà per un’inversione di rotta di Israele, oggi ancora più isolato.
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