Il presidente della Camera invita a ridefinire i programmi di partito, il presidente del Consiglio "sfiducia" l'ex leader di An. E realizza un documento "anti-dissenso" nel Pdl.
di Emiliano Biaggio
Fini e Berlusconi alla resa dei conti, con critiche e accuse reciproche, parole forti e colpi proibiti in un confronto-scontro che sancisce pubblicamente la spaccatura all'interno del Pdl. Il presidente della Camera chiede una verifica interna su programmi e strategie, il presidente del consiglio intima a non creare correnti. Gli attriti tra l'ex leader di Alleanza nazionale e l'ex leader di Forza Italia non sono nuovi, ma negli ultimi mesi si sono però fatti sempre più forti. Berlusconi non ha gradito le uscite di Fini sul caso Spatuzza, sull'immigrazione e sulla giustizia, Fini non ha fatto mistero di non condividere la rotta presa dal timoniere del Pdl. Dopo i nuovi rapporti di forza venutisi a determinare con le regionali, Fini ha chiesto e ottenuto una verifica in seno al Pdl sulle nuove strategie: le convergenze di Berlusconi sulle posizioni della Lega hanno preoccupato il presidente della Camera, che ha minacciato la creazioni di gruppi autonomi in parlamento. «Si faccia un partito», ha tuonato Berlusconi, che non vuole che Fini resti come voce di dissenso, perchè, ha spiegato il premier, «non è possibile che ci siano correnti, qualcuno le ha definite metastasi dei partiti». Quel "qualcuno" è Fini, che cinque anni fa aveva usato queste stesse parole per gli allora colleghi di An. Citazioni velenose che ahnno anticipato la direzione nazionale del Pdl a conferma del clima infuocato nel partito. E a questo, riunito in plenum, Fini ha sollevato obiezioni. Sulle questioni economiche, ha detto, «non basta l'ottimismo, ci vuole il senso della realtà». Ma Fini ha poi posto altre questioni: di immigrazione, previdenza e giustizia. «Legalità- ha scandito- significa andar fieri degli arresti ma anche non dare l'idea che la riforma della giustizia non serve a creare sacche di privilegio», e «quell'impressione c'è». Fini ha quindi invitato a rivedere le politiche di welfare del Pdl. «Senza le risorse- ha avvertito- sarà difficile abbassare le tasse per le imprese e per le famiglie. Allora- ha suggerito- fermiamoci un attimo, per rimodulare il programma per ciò che si può concretamente fare. Nel 2013 ci chiederà il conto di ciò che abbiamo fatto o meno». Fini ha poi aperto il capitolo delle riforme: il presidente della Camera non ha condannato la bozza del ministro Roberto Calderoli, ma ha chiesto a Berlusconi di sapere qual'è quella del Pdl, quella del partito, in un implicito invito al presidente del consiglio a non confondere il governo con il partito di governo. E «per il Pdl i decreti attuativi del federalismo vanno fatti ad ogno costo?», ha chiesto ancora Fini. «Questo- ha tenuto a precisare- lo vuole la Lega. Io dico invece di fare una commissione nel Pdl dove ci siano governatori del nord e del centrosud. E poi chiedo: ma i costi li abbiamo previsti?». Gianfranco Fini ha quindi posto quesiti politici, e Silvio Berlusconi ha risposto a stretto giro: «Negli ultimi mesi le cose che ha detto non mi erano mai arrivate», ha detto dipingendo la sua realtà e mettendo Fini all'angolo. E per meglio riuscirci, lo ha pubblicamente consegnato alla gogna del partito e dei media: «Mi hai detto "sono pentito di aver fondato il Pdl" e che volevi fare gruppi autonomi in Parlamento. Gianfranco, diciamocele tra noi queste cose! Ma tu alle riunioni non sei mai voluto venire e non c'eri neanche a piazza San Giovanni a sostenere la nostra campagna elettorale». «Era un comizio», ha replicato secco Fini. Poi dal premier l'affondo finale: «Un presidente della Camera non deve fare il politico, se vuoi farlo lascia quella poltrona». Con queste parole Berlusconi, davanti alla platea del Pdl e davanti alle telecamere, ha sfiduciato il presidente della Camera, che a luci spente, ai suoi ha detto: «Io non sono ospite in questo partito, sono uno dei fondatori. Ora però mi vorrebbero trattare da ospite non gradito, ma io non ho nessun intenzione di abbandonare il Pdl. E non mi dimetterò». Il primo commento da fuori lo ha espresso il segretario del Pd, Pieruigi Bersani. «Uno spettacolo indecoroso», anche se, «Fini ha sollevato contraddizioni profonde su temi e problemi reali», ha commentato. Gianni Alemanno ha provato a minimizzare: «non ci sono i motivi oggettivi per una separazione o una rottura politica». Peccato soltanto che il divorzio tra Fini e Berlusconi sia sotto gli occhi di tutti. Come andrà a finire? Lo ha scandito Berlusconi: «Se lui non si allinea è fuori», ha detto riferendosi a Fini, dopo aver approvato un documento "anti-dissenso" nel nome di quella libertà di cui il Pdl e il suo leader sono promotori.
(editoriale della puntata del 23 aprile 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
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